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LETTERA
ENCICLICA
DOMINUM
ET
VIVIFICANTEM
DEL
SOMMO
PONTEFICE
GIOVANNI
PAOLO
II
SULLO
SPIRITO
SANTO
NELLA
VITA
DELLA
CHIESA
E DEL
MONDO
Venerati
Fratelli,
carissimi
Figli
e
Figlie,
salute
e
Apostolica
Benedizione!
INTRODUZIONE
1.
La
Chiesa
professa
la
sua
fede
nello
Spirito
Santo
come
in
colui
«che
è
Signore
e dà
la
vita».
Così
essa
professa
nel
Simbolo
di
Fede,
detto
niceno-costantinopolitano
dal
nome
dei
due
Concili--di
Nicea
(a.
325)
e di
Costantinopoli
(a.
381)--,
nei
quali
fu
formulato
o
promulgato.
Ivi
si
aggiunge
anche
che
lo
Spirito
Santo
«ha
parlato
per
mezzo
dei
profeti».
Sono
parole
che
la
Chiesa
riceve
dalla
fonte
stessa
della
sua
fede,
Gesù
Cristo.
Difatti,
secondo
il
Vangelo
di
Giovanni,
lo
Spirito
Santo
è
donato
a noi
con
la
nuova
vita,
come
annuncia
e
promette
Gesù
il
grande
giorno
della
festa
dei
Tabernacoli:
«Chi
ha
sete
venga
a me,
e
beva
chi
crede
in
me.
Come
dice
la
Scrittura,
fiumi
di
acqua
viva
sgorgheranno
dal
suo
seno».E
l'evangelista
spiega:
«Questo
egli
disse
riferendosi
allo
Spirito,
che
avrebbero
ricevuto
i
credenti
in
lui».
È la
stessa
similitudine
dell'acqua
usata
da
Gesù
nel
colloquio
con
la
Samaritana,
quando
parla
della
«sorgente
di
acqua
che
zampilla
per
la
vita
eterna»
e nel
colloquio
con
Nicodemo,
quando
annuncia
la
necessità
di
una
nuova
nascita
«dall'acqua
e
dallo
Spirito»
per
«entrare
nel
Regno
di
Dio».
La
Chiesa,
pertanto,
istruita
dalla
parola
di
Cristo,
attingendo
all'esperienza
della
Pentecoste
ed
alla
propria
storia
apostolica,
proclama
sin
dall'inizio
la
sua
fede
nello
Spirito
Santo
come
in
colui
che dà
la
vita,
colui
nel
quale
l'imperscrutabile
Dio
uno e
trino
si
comunica
agli
uomini
costituendo
in
essi
la
sorgente
della
vita
eterna.
2.
Questa
fede,
professata
ininterrottamente
dalla
Chiesa,
deve
essere
sempre
ravvivata
ed
approfondita
nella
coscienza
del
Popolo
di
Dio.
Nell'ultimo
secolo
ciò
è
avvenuto
più
volte:
da
Leone
XIII,
che
pubblicò
l'Epistola
Enciclica
Divinum
illud
munus
(a.
1897),
interamente
dedicata
allo
Spirito
Santo,
a Pio
XII,
che
nella
Lettera
Enciclica
Mystici
Corporis
(a.
1943)
si
richiamò
allo
Spirito
Santo
come
a
principio
vitale
della
Chiesa,
nella
quale
opera
unitamente
al
capo
del
Corpo
Mistico,
Cristo;
al
Concilio
Ecumenico
Vaticano
II,
che
ha
fatto
sentire
il
bisogno
di
una
rinnovata
attenzione
alla
dottrina
sullo
Spirito
Santo,
come
sottolineava
Paolo
VI «Alla
cristologia
e
specialmente
all'ecclesiologia
del
Concilio
deve
succedere
uno
studio
nuovo
ed un
culto
nuovo
sullo
Spirito
Santo,
proprio
come
complemento
immancabile
all'insegnamento
conciliare».
Nella
nostra
epoca,
dunque,
siamo
nuovamente
chiamati
dalla
sempre
antica
e
sempre
nuova
fede
della
Chiesa
ad
avvicinarci
allo
Spirito
Santo
come
a
colui
che dà
la
vita.
Ci
viene
qui
in
aiuto
e ci
è di
sprone
anche
la
comune
eredità
con
le
Chiese
orientali
le
quali
hanno
gelosamente
custodito
le
straordinarie
ricchezze
dell'insegnamento
dei
Padri
intorno
allo
Spirito
Santo.
Anche
per
questo
possiamo
dire
che
uno
dei
più
importanti
eventi
ecclesiali
degli
ultimi
anni
è
stato
il
XVI
centenario
del I
Concilio
di
Costantinopoli,
celebrato
contemporaneamente
a
Costantinopoli
ed a
Roma
nella
solennità
della
Pentecoste
del
1981.
Lo
Spirito
Santo
è
meglio
apparso
allora,
grazie
alla
meditazione
sul
mistero
della
Chiesa,
come
colui
che
indica
le
vie
che
portano
all'unione
dei
cristiani,
anzi
come
la
fonte
suprema
di
questa
unità,
che
proviene
da
Dio
stesso
ed
alla
quale
san
Paolo
ha
dato
un'espressione
particolare
con
le
parole
con
cui
non
di
rado
inizia
la
liturgia
eucaristica:
«La
grazia
del
Signore
nostro
Gesù
Cristo,
l'amore
di
Dio
Padre
e la
comunione
dello
Spirito
Santo
sia
con
tutti
voi».
Da
questa
esortazione
hanno
preso,
in un
certo
senso
avvio
e
ispirazione
le
precedenti
Encicliche
Redemptor
homonis
e
Dives
in
misericordia,
le
quali
celebrano
l'evento
della
nostra
salvezza
compiutosi
nel
Figlio,
mandato
dal
Padre
nel
mondo,
«perché
il
mondo
si
salvi
per
mezzo
di
lui»
e «ogni
lingua
confessi
che
Gesù
Cristo
è il
Signore
a
gloria
di
Dio
Padre».
Da
questa
stessa
esortazione
nasce
ora
la
presente
Enciclica
sullo
Spirito
Santo,
che
procede
dal
Padre
e dal
Figlio
e con
il
Padre
e il
Figlio
è
adorato
e
glorificato:
Persona
divina,
egli
è al
cuore
stesso
della
fede
cristiana
ed è
la
sorgente
e la
forza
dinamica
del
rinnovamento
della
Chiesa.
Essa
è
stata
attinta
dal
profondo
dell'eredità
del
Concilio.
I
testi
conciliari,
infatti,
grazie
al
loro
insegnamento
sulla
Chiesa
in sé
e
sulla
Chiesa
nel
mondo,
ci
stimolano
a
penetrare
sempre
più
nel
mistero
trinitario
di
Dio
stesso,
seguendo
l'itinerario
evangelico,
patristico
e
liturgico:
al
Padre--per
Cristo--nello
Spirito
Santo.
In
tal
modo
la
Chiesa
risponde
anche
a
certe
istanze
profonde,
che
ritiene
di
leggere
nel
cuore
degli
uomini
d'oggi:
una
nuova
scoperta
di
Dio
nella
sua
trascendente
realtà
di
Spirito
infinito,
come
lo
presenta
Gesù
alla
Samaritana;
il
bisogno
di
adorarlo
«in
spirito
e
verità»
la
speranza
di
trovare
in
lui
il
segreto
dell'amore
e la
forza
di
una
«nuova
creazione»
sì,
proprio
colui
che dà
la
vita.
Ad
una
tale
missione
di
annunciare
lo
Spirito
la
Chiesa
si
sente
chiamata,
mentre
insieme
con
la
famiglia
umana
si
avvicina
al
termine
del
secondo
Millennio
dopo
Cristo.
Sullo
sfondo
di un
cielo
e di
una
terra
che
«passano»,
essa
sa
bene
che
acquistano
una
particolare
eloquenza
le «parole
che
non
passeranno».
Sono
le
parole
di
Cristo
sullo
Spirito
Santo,
sorgente
inesauribile
dell'«acqua
che
zampilla
per
la
vita
eterna»,
quale
verità
e
grazia
salvatrice.
Su
queste
parole
essa
vuol
riflettere,
a
queste
parole
vuol
richiamare
i
credenti
e
tutti
gli
uomini,
mentre
si
prepara
a
celebrare
--come
si
dirà
più
avanti--
il
grande
Giubileo
che
segnerà
il
passaggio
dal
secondo
al
terzo
Millennio
cristiano.
Naturalmente,
le
considerazioni
che
seguono
non
intendono
esplorare
compiutamente
la
ricchissima
dottrina
sullo
Spirito
Santo,
né
privilegiare
una
qualche
soluzione
di
questioni
ancora
aperte.
Esse
hanno
lo
scopo
precipuo
di
sviluppare
nella
Chiesa
la
coscienza
che
«è
spinta
dallo
Spirito
Santo
a
cooperare,
perché
sia
portato
a
compimento
il
disegno
di
Dio,
il
quale
ha
costituito
Cristo
principio
di
salvezza
per
il
mondo
intero».
PARTE
I
LO
SPIRITO
DEL
PADRE
E DEL
FIGLIO,
DATO
ALLA
CHIESA
1.
Promessa
e
rivelazione
di
Gesù
turante
la
Cena
pasquale
3.
Quando
era
ormai
imminente
per
Gesù
Cristo
il
tempo
di
lasciare
questo
mondo,
egli
annunciò
agli
apostoli
«un
altro
consolatore».
L'evangelista
Giovanni,
che
era
presente,
scrive
che,
durante
la
Cena
pasquale
precedente
il
giorno
della
sua
passione
e
morte,
Gesù
si
rivolse
a
loro
con
queste
parole:
«Qualunque
cosa
chiederete
nel
nome
mio,
io la
farò,
perché
il
Padre
sia
glorificato
nel
Figlio...
Io
pregherò
il
Padre,
ed
egli
vi
darà
un
altro
consolatore,
perché
rimanga
con
voi
sempre,
lo
Spirito
di
verità».
Proprio
questo
Spirito
di
verità,
Gesù
chiama
Paraclito--e
parákletos
vuol
dire
«consolatore»,
e
anche
«intercessore»,
o «avvocato».
E
dice
che
è «un
altro»
consolatore,
il
secondo,
perché
egli
stesso,
Gesù,
è il
primo
consolatore,
essendo
il
primo
portatore
e
donatore
della
Buona
Novella.
Lo
Spirito
Santo
viene
dopo
di
lui e
grazie
a
lui,
per
continuare
nel
mondo,
mediante
la
Chiesa,
l'opera
della
Buona
Novella
di
salvezza.
Di
questa
continuazione
della
sua
opera
da
parte
dello
Spirito
Santo
Gesù
parla
più
di
una
volta
durante
lo
stesso
discorso
di
addio,
preparando
gli
apostoli,
riuniti
nel
Cenacolo,
alla
sua
dipartita,
cioè
alla
sua
passione
e
morte
in
Croce.
Le
parole,
alle
quali
faremo
qui
riferimento,
si
trovano
nel
Vangelo
di
Giovanni,
Ognuna
di
esse
aggiunge
un
certo
contenuto
nuovo
a
quell'annuncio
e a
quella
promessa.
Al
tempo
stesso,
esse
sono
intrecciate
intimamente
tra
di
loro
non
solo
dalla
prospettiva
dei
medesimi
eventi,
ma
anche
dalla
prospettiva
del
mistero
del
Padre,
del
Figlio
e
dello
Spirito
Santo,
che
forse
in
nessun
passo
della
Sacra
Scrittura
trova
un'espressione
così
rilevata
come
qui.
4.
Poco
dopo
l'annuncio
surriferito
Gesù
aggiunge:
«Ma
il
consolatore,
lo
Spirito
Santo,
che
il
Padre
manderà
nel
mio
nome,
egli
vi
insegnerà
ogni
cosa
e vi
ricorderà
tutto
ciò
che
vi ho
detto».
Lo
Spirito
Santo
sarà
il
consolatore
degli
apostoli
e
della
Chiesa,
sempre
presente
in
mezzo
a
loro
--anche
se
invisibile--
come
maestro
della
medesima
Buona
Novella
che
Cristo
annunciò.
Quell'«insegnerà»
e «ricorderà»
significa
non
solo
che
egli,
nel
modo
a lui
proprio,
continuerà
ad
ispirare
la
divulgazione
del
Vangelo
di
salvezza,
ma
anche
che
aiuterà
a
comprendere
il
giusto
significato
del
contenuto
del
messaggio
di
Cristo;
che
ne
assicurerà
la
continuità
ed
identità
di
comprensione
in
mezzo
alle
mutevoli
condizioni
e
circostanze.
Lo
Spirito
Santo,
dunque,
farà
sì
che
nella
Chiesa
perduri
sempre
la
stessa
verità,
che
gli
apostoli
hanno
udito
dal
loro
Maestro.
5.
Nel
trasmettere
la
Buona
Novella,
gli
apostoli
saranno
associati
in
modo
speciale
allo
Spirito
Santo.
Ecco
come
continua
a
parlare
Gesù:
«Quando
verrà
il
consolatore,
che
io vi
manderò
dal
Padre,
lo
Spirito
di
verità
che
procede
dal
Padre,
egli
mi
renderà
testimonianza;
e
anche
voi
mi
renderete
testimonianza,
perché
siete
stati
con
me
fin
dal
principio».
Gli
apostoli
sono
stati
i
testimoni
diretti,
oculari.
Essi
«hanno
udito»
e «hanno
veduto
con i
propri
occhi»,
«hanno
guardato»
e
perfino
«toccato
con
le
proprie
mani»
Cristo,
come
si
esprime
in un
altro
passo
lo
stesso
evangelista
Giovanni.
Questa
loro
umana,
oculare
e «storica»
testimonianza
su
Cristo
si
collega
alla
testimonianza
dello
Spirito
Santo:
«Egli
mi
renderà
testimonianza».
Nella
testimonianza
dello
Spirito
di
verità
l'umana
testimonianza
degli
apostoli
troverà
il
supremo
sostegno.
E in
seguito
vi
troverà
anche
l'interiore
fondamento
della
sua
continuazione
tra
le
generazioni
dei
discepoli
e dei
confessori
di
Cristo,
che
si
susseguiranno
nei
secoli.
Se la
suprema
e più
completa
rivelazione
di
Dio
all'umanità
è
Gesù
Cristo
stesso,
la
testimonianza
dello
Spirito
ne
ispira,
garantisce
e
convalida
la
fedele
trasmissione
nella
predicazione
e
negli
scritti
apostolici,
mentre
la
testimonianza
degli
apostoli
ne
assicura
l'espressione
umana
nella
Chiesa
e
nella
storia
dell'umanità.
6.
Ciò
si
rileva
anche
dalla
stretta
correlazione
di
contenuto
e di
intenzione
con
l'annuncio
e la
promessa
appena
menzionata,
che
si
trova
nelle
parole
successive
del
testo
di
Giovanni:
«Molte
cose
ho
ancora
da
dirvi,
ma
per
il
momento
non
siete
capaci
di
portarne
il
peso.
Quando
però
verrà
lo
Spirito
di
verità,
egli
vi
guiderà
alla
verità
tutta
intera;
perché
non
parlerà
da sé,
ma
dirà
tutto
ciò
che
avrà
udito
e vi
annuncerà
le
cose
future».
Nelle
precedenti
parole
Gesù
presenta
il
consolatore,
lo
Spirito
di
verità,
come
colui
che
«insegnerà»
e «ricorderà»,
come
colui
che
gli
arenderà
testimonianza»;
ora
dice:
«Egli
vi
guiderà
alla
verità
tutta
intera».
Questo
«guidare
alla
verità
tutta
intera»,
in
riferimento
a ciò
di
cui
gli
apostoli
«per
il
momento
non
sono
capaci
di
portare
il
peso»,
è in
necessario
collegamento
con
lo
spogliamento
di
Cristo
per
mezzo
della
passione
e
morte
di
Croce,
che
allora,
quando
pronunciava
queste
parole,
era
ormai
imminente.
In
seguito,
tuttavia,
diventa
chiaro
che
quel
«guidare
alla
verità
tutta
intera»
si
ricollega,
oltre
che
allo
scandalum
Crucis,
anche
a
tutto
ciò
che
Cristo
«fece
ed
insegnò».
Infatti,
il
mysterium
Christi
nella
sua
globalità
esige
la
fede,
poiché
è
questa
che
introduce
opportunamente
l'uomo
nella
realtà
del
mistero
rivelato.
Il «guidare
alla
verità
tutta
intera»
si
realizza,
dunque,
nella
fede
e
mediante
la
fede:
il
che
è
opera
dello
Spirito
di
verità
ed è
frutto
della
sua
azione
nell'uomo.
Lo
Spirito
Santo
deve
essere
in
questo
la
suprema
guida
dell'uomo,
la
luce
dello
spirito
umano.
Ciò
vale
per
gli
apostoli,
testimoni
oculari,
che
devono
ormai
portare
a
tutti
gli
uomini
l'annuncio
di ciò
che
Cristo
«fece
ed
insegnò»
e,
specialmente,
della
sua
Croce
e
della
sua
Risurrezione.
In
una
prospettiva
più
lontana
ciò
vale
anche
per
tutte
le
generazioni
dei
discepoli
e dei
confessori
del
Maestro,
poiché
dovranno
accettare
con
fede
e
confessare
con
franchezza
il
mistero
di
Dio
operante
nella
storia
dell'uomo,
il
mistero
rivelato
che
di
tale
storia
spiega
il
senso
definitivo.
7.
Tra
lo
Spirito
Santo
e
Cristo
sussiste,
dunque,
nell'economia
della
salvezza,
un
intimo
legame,
per
il
quale
lo
Spirito
opera
nella
storia
dell'uomo
come
«un
altro
consolatore»,
assicurando
in
maniera
duratura
la
trasmissione
e
l'irradiazione
della
Buona
Novella,
rivelata
da
Gesù
di
Nazareth.
Perciò,
nello
Spirito
Santo
Paraclito,
che
nel
mistero
e
nell'azione
della
Chiesa
continua
incessantemente
la
presenza
storica
del
Redentore
sulla
terra
e la
sua
opera
salvifica,
risplende
la
gloria
di
Cristo,
come
attestano
le
successive
parole
di
Giovanni:
«Egli
(cioè
lo
Spirito)
mi
glorificherà,
perché
prenderà
del
mio e
ve
l'annuncerà».
Con
queste
parole
viene
ancora
una
volta
confermato
tutto
ciò
che
dicevano
gli
enunciati
precedenti:
«Insegnerà...,
ricorderà...,
renderà
testimonianza».
La
suprema
e
completa
autorivelazione
di
Dio,
compiutasi
in
Cristo,
testimoniata
dalla
predicazione
degli
apostoli,
continua
a
manifestarsi
nella
Chiesa
mediante
la
missione
dell'invisibile
consolatore,
lo
Spirito
di
verità.
Quanto
intimamente
questa
missione
sia
collegata
con
la
missione
di
Cristo,
quanto
pienamente
essa
attinga
a
questa
missione
di
Cristo,
consolidando
e
sviluppando
nella
storia
i
suoi
frutti
salvifici,
è
espresso
dal
verbo
«prendere»:
«Prenderà
del
mio e
ve
l'annuncerà».
Quasi
a
spiegare
la
parola
«prenderà»,
mettendo
in
chiara
evidenza
l'unità
divina
e
trinitaria
della
fonte,
Gesù
aggiunge:
«
Tutto
quello
che
il
Padre
possiede
è
mio;
per
questo,
ho
detto
che
prenderà
del
mio e
ve
l'annuncerà».
Prendendo
del
«mio»,
per
ciò
stesso
egli
attingerà
a «quello
che
è
del
Padre».
Alla
luce
di
quel
«prenderà»,
dunque,
si
possono
spiegare
ancora
le
altre
parole
sullo
Spirito
Santo,
pronunciate
da
Gesù
nel
Cenacolo
prima
della
Pasqua,
parole
significative:
«È
bene
per
voi
che
io me
ne
vada,
perché,
se
non
me ne
vado,
non
verrà
a voi
il
consolatore;
ma
quando
me ne
sarò
andato,
ve lo
manderò.
E
quando
sarà
venuto,
egli
convincerà
il
mondo
quanto
al
peccato,
alla
giustizia
e al
giudizio».
Occorrerà
ritornare
ancora
su
queste
parole
con
una
riflessione
a
parte.
2.
Padre,
Figlio
e
Spirito
Santo
8.
Caratteristica
del
testo
giovanneo
è
che
il
Padre,
il
Figlio
e lo
Spirito
Santo
vengono
nominati
chiaramente
come
Persone,
la
prima
distinta
dalla
seconda
e
dalla
terza,
e
anche
queste
tra
di
loro.
Gesù
parla
dello
Spirito
consolatore,
usando
più
volte
il
pronome
personale
«egli»
e, al
tempo
stesso,
in
tutto
il
discorso
di
addio,
svela
quei
legami
che
uniscono
reciprocamente
il
Padre,
il
Figlio
e il
Paraclito.
Pertanto,
«lo
Spirito...
procede
dal
Padre»
e il
Padre
«dà»
lo
Spirito.
Il
Padre
«manda»
lo
Spirito
nel
nome
del
Figlio,
lo
Spirito
«rende
testimonianza»
al
Figlio.
Il
Figlio
chiede
al
Padre
di
mandare
lo
Spirito
consolatore,
ma
afferma
e
promette,
altresì,
in
relazione
alla
sua
«dipartita»
mediante
la
Croce:
«Quando
me ne
sarò
andato,
ve lo
manderò».
Dunque
il
Padre
manda
lo
Spirito
Santo
nella
potenza
della
sua
paternità,
come
ha
mandato
il
Figlio.
ma,
al
tempo
stesso,
lo
manda
nella
potenza
della
redenzione
compiuta
da
Cristo--e
in
questo
senso
lo
Spirito
Santo
viene
mandato
anche
dal
Figlio:
«Ve
lo
manderò».
Bisogna
qui
notare
che,
se
tutte
le
altre
promesse
fatte
nel
Cenacolo
annunciavano
la
venuta
dello
Spirito
Santo
dopo
la
partenza
di
Cristo,
quella
contenuta
nel
testo
di
Giovanni
16, 7
s.
include
e
sottolinea
chiaramente
anche
il
rapporto
di
interdipendenza,
che
si
direbbe
causale
tra
la
manifestazione
dell'uno
e
dell'altro:
«Quando
me ne
sarò
andato,
ve lo
manderò».
Lo
Spirito
Santo
verrà,
in
quanto
Cristo
se ne
andrà
mediante
la
Croce:
verrà
non
solo
in
seguito,
ma a
causa
della
redenzione
compiuta
da
Cristo,
per
volontà
ed
opera
del
Padre.
9.
Così
nel
discorso
pasquale
di
addio
si
tocca
--possiamo
dire--
l'apice
della
rivelazione
trinitaria.
Al
tempo
stesso,
ci
troviamo
sulla
soglia
di
eventi
definitivi
e di
parole
supreme,
che
alla
fine
si
tradurranno
nel
grande
mandato
missionario,
rivolto
agli
apostoli
e,
per
loro
mezzo,
alla
Chiesa:
«Andate,
dunque,
e
ammaestrate
tutte
le
nazioni»,
mandato
che
contiene,
in
certo
senso,
la
formula
trinitaria
del
battesimo:
«Battezzandole
nel
nome
del
Padre
e del
Figlio
e
dello
Spirito
Santo».
La
formula
rispecchia
l'intimo
mistero
di
Dio,
della
vita
divina
che
è il
Padre,
il
Figlio
e lo
Spirito
Santo,
divina
unità
della
Trinità.
Si può
leggere
il
discorso
di
addio
come
una
speciale
preparazione
a
questa
formula
trinitaria,
nella
quale
si
esprime
la
potenza
vivificante
del
Sacramento,
che
opera
la
partecipazione
alla
vita
di
Dio
uno e
trino,
perché
dà
la
grazia
santificante
come
dono
soprannaturale
all'uomo.
Per
mezzo
di
essa
questi
viene
chiamato
e
reso
«capace»
di
partecipare
all'imperscrutabile
vita
di
Dio.
10.
Nella
sua
vita
intima
Dio
«è
amore»,
amore
essenziale,
comune
alle
tre
divine
Persone:
amore
personale
è lo
Spirito
Santo,
come
Spirito
del
Padre
e del
Figlio.
Per
questo,
egli
«scruta
le
profondità
di
Dio»,
come
amore-dono
increato.
Si può
dire
che
nello
Spirito
Santo
la
vita
intima
del
Dio
uno e
trino
si fa
tutta
dono,
scambio
di
reciproco
amore
tra
le
divine
Persone,
e che
per
lo
Spirito
Santo
Dio
«esiste»
a
modo
di
dono.
È lo
Spirito
Santo
l'espressione
personale
di un
tale
donarsi,
di
questo
essere-amore.
È
Persona-amore.
È
Persona-dono.
Abbiamo
qui
una
ricchezza
insondabile
della
realtà
e un
approfondimento
ineffabile
del
concetto
di
persona
in
Dio,
che
solo
la
Rivelazione
ci fa
conoscere.
Al
tempo
stesso,
lo
Spirito
Santo,
in
quanto
consostanziale
al
Padre
e al
Figlio
nella
divinità,
è
amore
e
dono
(increato),
da
cui
deriva
come
da
fonte
(fons
vivus)
ogni
elargizione
nei
riguardi
delle
creature
(dono
creato):
la
donazione
dell'esistenza
a
tutte
le
cose
mediante
la
creazione.
la
donazione
della
grazia
agli
uomini
mediante
l'intera
economia
della
salvezza.
Come
scrive
l'apostolo
Paolo:
«L'amore
di
Dio
è
stato
riversato
nei
nostri
cuori
per
mezzo
dello
Spirito
Santo,
che
ci è
stato
dato».
3.
Il
donarsi
salvifico
di
Dio
nello
Spirito
Santo
11.
Il
discorso
di
addio
di
Cristo
durante
la
Cena
pasquale
è in
particolare
riferimento
a
questo
«donare»
e «donarsi»
dello
Spirito
Santo.
Nel
Vangelo
di
Giovanni
si
svela
quasi
la «logica»
più
profonda
del
mistero
salvifico
contenuto
nell'eterno
disegno
di
Dio,
come
espansione
dell'ineffabile
comunione
del
Padre,
del
Figlio
e
dello
Spirito
Santo.
È la
«logica»
divina,
che
dal
mistero
della
Trinità
porta
al
mistero
della
redenzione
del
mondo
in
Gesù
Cristo.
La
redenzione
compiuta
dal
Figlio
nelle
dimensioni
della
storia
terrena
dell'uomo
--compiuta
nella
sua
«dipartita»
per
mezzo
della
Croce
e
della
Risurrezione--
viene,
al
tempo
stesso,
nella
sua
intera
potenza
salvifica,
trasmessa
allo
Spirito
Santo
colui
che
«prenderà
del
mio».
Le
parole
del
testo
giovanneo
indicano
che,
secondo
il
disegno
divino,
la «dipartita»
di
Cristo
è
condizione
indispensabile
dell'«invio»
e
della
venuta
dello
Spirito
Santo,
ma
dicono
anche
che
allora
comincia
la
nuova
comunicazione
salvifica
di
Dio
nello
Spirito
Santo.
12.
È un
nuovo
inizio
in
rapporto
al
primo,
originario
inizio
del
donarsi
salvifico
di
Dio,
che
si
identifica
con
lo
stesso
mistero
della
creazione.
Ecco
che
cosa
leggiamo
già
nelle
prime
parole
del
Libro
della
Genesi:
«In
principio
Dio
creò
il
cielo
e la
terra...,
e lo
spirito
di
Dio (ruah
Elohim)
aleggiava
sulle
acque».
Questo
concetto
biblico
di
creazione
comporta
non
solo
la
chiamata
all'esistenza
dell'essere
stesso
del
cosmo,
cioè
il
donare
l'esistenza,
ma
anche
la
presenza
dello
Spirito
di
Dio
nella
creazione,
cioè
l'inizio
del
comunicarsi
salvifico
di
Dio
alle
cose
che
crea.
Il
che
vale
prima
di
tutto
per
l'uomo
il
quale
è
stato
creato
ad
immagine
e
somiglianza
di
Dio:
«Facciamo
l'uomo
a
nostra
immagine,
a
nostra
somiglianza».
«Facciamo»:
si può
ritenere
che
il
plurale,
che
il
Creatore
qui
usa
parlando
di sé,
suggerisca
già
in
qualche
modo
il
mistero
trinitario,
la
presenza
della
Trinità
nell'opera
della
creazione
dell'uomo?
Il
lettore
cristiano
che
conosce
già
la
rivelazione
di
questo
mistero,
può
scoprirne
il
riflesso
anche
in
quelle
parole.
In
ogni
caso,
il
contesto
del
Libro
della
Genesi
ci
permette
di
vedere
nella
creazione
dell'uomo
il
primo
inizio
del
donarsi
salvifico
di
Dio a
misura
dell'«immagine
e
somiglianza»
di sé,
da
Lui
concessa
all'uomo.
13.
Sembra,
dunque
che
anche
le
parole
pronunciate
da
Gesù
nel
discorso
di
addio
debbano
essere
rilette
in
riferimento
a
quell'«inizio»
così
lontano,
ma
fondamentale,
che
conosciamo
dalla
Genesi
«Se
non
me ne
vado
non
verrà
a voi
il
consolatore;
ma,
quando
me ne
sarò
andato,
ve lo
manderò».
Descrivendo
la
sua
«dipartita»
come
condizione
della
«venuta»
del
consolatore,
Cristo
collega
il
nuovo
inizio
della
comunicazione
salvifica
di
Dio
nello
Spirito
Santo
al
mistero
della
redenzione.
Questo
è un
nuovo
inizio,
prima
di
tutto
perché
tra
il
primo
inizio
e
tutta
la
storia
dell'uomo--cominciando
dalla
caduta
originale--si
è
frapposto
il
peccato,
che
è
contraddizione
alla
presenza
dello
Spirito
di
Dio
nella
creazione
ed è,
soprattutto,
contraddizione
alla
comunicazione
salifica
di
Dio
all'uomo.
Scrive
san
Paolo
che,
proprio
a
causa
del
peccato,
«la
creazione...
è
stata
sottomessa
alla
caducità...,
geme
e
soffre
fino
ad
oggi
nelle
doglie
del
parto»
e «attende
con
impazienza
la
rivelazione
dei
figli
di
Dio».
14.
Perciò,
Gesù
Cristo
dice
nel
Cenacolo:
«È
bene
per
voi
che
io me
ne
vada».
«Quando
me ne
sarò
andato,
ve lo
manderò».
La «dipartita»
di
Cristo
mediante
la
Croce
ha la
potenza
della
redenzione--e
ciò
significa
anche
una
nuova
presenza
dello
Spirito
di
Dio
nella
creazione:
il
nuovo
inizio
del
comunicarsi
di
Dio
all'uomo
nello
Spirito
Santo.
«E
che
voi
siete
figli
ne è
prova
il
fatto
che
Dio
ha
mandato
nei
nostri
cuori
lo
Spirito
del
suo
Figlio,
che
grida:
Abbà,
Padre!»:
scrive
l'apostolo
Paolo
nella
Lettera
ai
Galati.
Lo
Spirito
Santo
è lo
Spirito
del
Padre,
come
testimoniano
le
parole
del
discorso
di
addio
nel
Cenacolo.
Egli
è,
al
tempo
stesso,
lo
Spirito
del
Figlio:
è lo
Spirito
di
Gesù
Cristo,
come
testimonieranno
gli
apostoli
e, in
particolare,
Paolo
di
Tarso.
Nell'invio
di
questo
Spirito
«nei
nostri
cuori»
inizia
a
compiersi
ciò
che
«la
creazione
stessa
attende
con
impazienza»,
come
leggiamo
nella
Lettera
ai
Romani.
Lo
Spirito
Santo
viene
a
prezzo
della
«dipartita»
di
Cristo.
Se
tale
«dipartita»
ha
causato
la
tristezza
degli
apostoli,
e
questa
doveva
raggiungere
il
suo
culmine
nella
passione
e
nella
morte
del
Venerdì
Santo,
a sua
volta
«questa
afflizione
si
cambierà
in
gioia».
Cristo,
infatti,
inserirà
nella
sua
«dipartita»
redentrice
la
gloria
della
risurrezione
e
dell'ascensione
al
Padre.
Pertanto,
la
tristezza,
attraverso
la
quale
traspare
la
gioia,
è la
parte
che
tocca
agli
apostoli
nel
quadro
della
«dipartita»
del
loro
Maestro,
una
dipartita
«benefica»,
perché
grazie
ad
essa
un
altro
«consolatore»
sarebbe
venuto.
A
prezzo
della
Croce,
operatrice
della
redenzione,
nella
potenza
di
tutto
il
mistero
pasquale
di
Gesù
Cristo,
lo
Spirito
Santo
viene
per
rimanere
sin
dal
giorno
della
Pentecoste
con
gli
apostoli,
per
rimanere
con
la
Chiesa
e
nella
Chiesa
e,
mediante
essa,
nel
mondo.
In
questo
modo
si
realizza
definitivamente
quel
nuovo
inizio
della
comunicazione
del
Dio
uno e
trino
nello
Spirito
Santo
per
opera
di
Gesù
Cristo,
Redentore
dell'uomo
e del
mondo.
4.
Il
Messia,
unto
con
lo
Spirito
Santo
15.
Si
realizza
anche
fino
in
fondo
la
missione
del
Messia,
cioè
di
colui
che
ha
ricevuto
la
pienezza
dello
Spirito
Santo
per
il
Popolo
eletto
di
Dio e
per
l'umanità
intera.
Letteralmente
«Messia»
significa
«Cristo»,
cioè
«unto»
e,
nella
storia
della
salvezza,
significa
«unto
con
lo
Spirito
Santo».
Tale
era
la
tradizione
profetica
dell'Antico
Testamento.
Seguendola,
Simon
Pietro
dirà
nella
casa
di
Cornelio:
«Voi
conoscete
ciò
che
è
accaduto
in
tutta
la
Giudea...
dopo
il
battesimo
predicato
da
Giovanni;
cioè,
come
Dio
consacrò
in
Spirito
Santo
e
potenza
Gesù
di
Nazareth».
Da
queste
parole
di
Pietro
e da
molte
altre
simili
occorre
risalire
prima
di
tutto
alla
profezia
di
Isaia,
chiamata
a
volte
«il
quinto
Vangelo»
oppure
«il
Vangelo
dell'Antico
Testamento».
Alludendo
alla
venuta
di un
personaggio
misterioso,
che
la
rivelazione
neotestamentaria
identificherà
con
Gesù,
Isaia
ne
collega
la
persona
e la
missione
con
una
speciale
azione
dello
Spirito
di
Dio
Spirito
del
Signore.
Ecco
le
parole
del
Profeta:
«Un
germoglio
spunterà
dal
tronco
di
Iesse,
un
virgulto
germoglierà
dalle
sue
radici.
Su di
lui
si
poserà
lo
spirito
del
Signore,
spirito
di
sapienza
e di
intelligenza,
spirito
di
consiglio
e di
fortezza,
spirito
di
conoscenza
e di
timore
del
Signore.
Si
compiacerà
del
timore
del
Signore».
Questo
testo
è
importante
per
l'intera
pneumatologia
dell'Antico
Testamento,
perché
costituisce
quasi
un
ponte
tra
l'antico
concetto
biblico
dello
«spirito»,
inteso
prima
di
tutto
come
«soffio
carismatico»,
e lo
«Spirito»
come
persona
e
come
dono,
dono
per
la
persona.
Il
Messia
della
stirpe
di
Davide
(«dal
tronco
di
Iesse»)
è
proprio
quella
persona,
sulla
quale
«si
poserà»
lo
Spirito
del
Signore.
È
ovvio
che
in
questo
caso
non
si può
ancora
parlare
della
rivelazione
del
Paraclito:
tuttavia,
con
quell'accenno
velato
alla
figura
del
futuro
Messia
si
apre,
per
cosi
dire,
la
via
sulla
quale
vien
preparata
la
piena
rivelazione
dello
Spirito
Santo
nell'unità
del
mistero
trinitario,
che
si
manifesterà
infine
nella
Nuova
Alleanza.
16.
Proprio
il
Messia
stesso
è
questa
via.
Nell'Antica
Alleanza
l'unzione
era
divenuta
il
simbolo
esterno
del
dono
dello
Spirito.
Il
Messia,
ben
più
di
ogni
altro
personaggio
unto
nell'Antica
Alleanza,
è
quell'unico
grande
Unto
da
Dio
stesso.
È
l'Unto
nel
senso
che
possiede
la
pienezza
dello
Spirito
di
Dio.
Egli
stesso
sarà
anche
il
mediatore
nel
concedere
questo
Spirito
all'intero
Popolo.
Ecco,
infatti,
altre
parole
del
Profeta:
«Lo
Spirito
del
Signore
Dio
è su
di
me,
perché
il
Signore
mi ha
consacrato
con
l'unzione;
mi ha
mandato
a
portare
il
lieto
annuncio
ai
poveri,
a
fasciare
le
piaghe
dei
cuori
spezzati,
a
proclamare
la
libertà
degli
schiavi,
la
scarcerazione
dei
prigionieri,
a
promulgare
l'anno
di
misericordia
del
Signore».
L'Unto
è
anche
mandato
«con
lo
Spirito
del
Signore»:
«Ora
il
Signore
Dio
ha
mandato
me
insieme
col
suo
spirito».
(Is48,16)
Secondo
il
Libro
di
Isaia
l'Unto
e
l'Inviato
insieme
con
lo
Spirito
del
Signore
è
anche
l'eletto
Servo
del
Signore,
sul
quale
si
posa
lo
Spirito
di
Dio:
«Ecco
il
mio
servo
che
io
sostengo,
il
mio
eletto
in
cui
mi
compiaccio;
ho
posto
il
mio
spirito
su di
lui».
Si
sa
che
il
Servo
del
Signore
è
rivelato
nel
Libro
di
Isaia
come
il
vero
uomo
dei
dolori:
il
Messia
sofferente
per i
peccati
del
mondo.
Ed
insieme
egli
è
proprio
colui
la
cui
missione
porterà
per
l'intera
umanità
veri
frutti
di
salvezza:
«Egli
porterà
il
diritto
alle
nazioni...».
e
diventerà
«l'alleanza
del
popolo
e
luce
delle
nazioni...»;
«perché
porti
la
mia
salvezza
fino
all'estremità
della
terra».
Poiché:
«Il
mio
spirito,
che
è
sopra
di
te, e
le
parole,
che
ti ho
messo
in
bocca,
non
si
allontaneranno
dalla
tua
bocca
né
dalla
bocca
della
tua
discendenza
né
dalla
bocca
dei
discendenti,
dice
il
Signore,
ora e
sempre».
I
testi
profetici,
qui
riportati,
devono
essere
letti
da
noi
alla
luce
del
Vangelo--come,
a sua
volta,
il
Nuovo
Testamento
acquista
una
particolare
chiarificazione
dalla
mirabile
luce
contenuta
in
questi
testi
vetero-testamentari.
Il
profeta
presenta
il
Messia
come
colui
che
viene
nello
Spirito
Santo,
come
colui
che
possiede
la
pienezza
di
questo
Spirito
in se
e, al
tempo
stesso,
per
gli
altri
per
Israele,
per
tutte
le
nazioni,
per
tutta
l'umanità.
La
pienezza
dello
Spirito
di
Dio
viene
accompagnata
da
molteplici
doni,
i
beni
della
salvezza,
destinati
in
modo
particolare
ai
poveri
e ai
sofferenti,
a
tutti
coloro
che a
questi
doni
aprono
i
loro
cuori--a
volte
mediante
le
dolorose
esperienze
della
propria
esistenza,
ma,
prima
di
tutto,
con
quella
disponibilità
interiore
che
viene
dalla
fede.
Ciò
intuiva
il
vecchio
Simeone,
«uomo
giusto
e pio»,
sul
quale
«era
lo
Spirito
Santo»,
al
momento
della
presentazione
di
Gesù
al
Tempio,
quando
scorgeva
in
lui
la «salvezza
preparata
dinanzi
a
tutti
i
popoli»
a
prezzo
della
grande
sofferenza
--la
Croce--,
che
avrebbe
dovuto
abbracciare
insieme
con
sua
Madre.
Ciò
intuiva
ancor
meglio
la
Vergine
Maria,
che
«aveva
concepito
di
Spirito
Santo»,
quando
meditava
in
cuor
suo
sopra
i «misteri»
del
Messia,
a cui
era
associata.
17.
Occorre
quindi
sottolineare
che
chiaramente
lo «spirito
del
Signore»,
che
«si
posa»
sul
futuro
Messia,
è,
anzitutto,
un
dono
di
Dio
per
la
persona
di
quel
Servo
del
Signore.
Ma
costui
non
è
una
persona
isolata
e a sé
stante,
perché
opera
per
volontà
del
Signore,
in
forza
della
sua
decisione
o
scelta.
Anche
se
alla
luce
dei
testi
di
Isaia
l'operare
salvifico
del
Messia,
Servo
del
Signore,
include
l'azione
dello
Spirito
che
si
svolge
mediante
lui
stesso,
tuttavia
nel
contesto
veterotestamentario
non
è
suggerita
la
distinzione
dei
soggetti,
o
delle
Persone
divine,
quali
sussistono
nel
mistero
trinitario
e
sono
poi
rivelate
nel
Nuovo
Testamento.
Sia
in
Isaia
sia
in
tutto
l'Antico
Testamento
la
personalità
dello
Spirito
Santo
è
completamente
nascosta:
nascosta
nella
rivelazione
dell'unico
Dio,
come
anche
nell'annuncio
del
futuro
Messia.
l8.
Gesù
Cristo
si
richiamerà
a
questo
annuncio,
contenuto
nelle
parole
di
Isaia,
all'inizio
della
sua
attività
messianica.
Ciò
avverrà
nella
stessa
Nazareth,
nella
quale
aveva
trascorso
trent'anni
di
vita
nella
casa
di
Giuseppe,
il
carpentiere,
accanto
a
Maria,
sua
Madre
vergine.
Quando
ebbe
occasione
di
prendere
la
parola
nella
Sinagoga,
aperto
il
Libro
di
Isaia,
egli
trovò
il
passo
in
cui
era
scritto:
«Lo
spirito
del
Signore
è
sopra
di
me;
per
questo,
mi ha
consacrato
con
l'unzione»
e,
dopo
aver
letto
questo
brano,
disse
ai
presenti:
«Oggi
si è
adempiuta
questa
Scrittura,
che
voi
avete
udito».
In
questo
modo
confessò
e
proclarnò
di
esser
colui
che
«è
stato
unto»
dal
Padre,
di
essere
il
Messia,
cioè
colui
nel
quale
dimora
lo
Spirito
Santo
come
dono
di
Dio
stesso,
colui
che
possiede
la
pienezza
di
questo
Spirito,
colui
che
segna
il «nuovo
inizio»
del
dono
che
Dio
fa
all'umanità
nello
Spirito.
5.
Gesù
di
Nazareth,
«elevato»
nello
Spirito
Santo
19.
Anche
se
nella
sua
patria
di
Nazareth
Gesù
non
è
accolto
come
Messia,
tuttavia,
all'inizio
dell'attività
pubblica
la
sua
missione
messianica
nello
Spirito
Santo
viene
rivelata
al
popolo
da
Giovanni
Battista.
Questi,
figlio
di
Zaccaria
e di
Elisabetta,
annuncia
presso
il
Giordano
la
venuta
del
Messia
ed
amministra
il
battesimo
di
penitenza.
Egli
dice:
«Io
vi
battezzo
con
acqua,
ma
viene
uno
che
è più
forte
di
me,
al
quale
io
non
son
degno
di
sciogliere
neppure
il
legaccio
dei
sandali:
costui
vi
battezzerà
in
Spirito
Santo
e
fuoco».
Giovanni
Battista
annuncia
il
Messia-Cristo
non
solo
come
colui
che
«viene»
nello
Spirito
Santo,
ma
anche
come
colui
che
«porta»
lo
Spirito
Santo,
come
rivelerà
meglio
Gesù
nel
Cenacolo.
Giovanni
è
qui
l'eco
fedele
delle
parole
di
Isaia,
le
quali
nell'antico
Profeta
riguardavano
il
futuro,
mentre
nel
suo
proprio
insegnamento
lungo
le
rive
del
Giordano
costituiscono
l'introduzione
immediata
alla
nuova
realtà
messianica.
Giovanni
è
non
solo
un
profeta,
ma
anche
un
messaggero:
è il
precursore
di
Cristo.
Ciò
che
egli
annuncia
si
realizza
davanti
agli
occhi
di
tutti.
Gesù
di
Nazareth
viene
al
Giordano
per
ricevere
anch'egli
il
battesimo
di
penitenza.
Alla
vista
di
colui
che
arriva,
Giovanni
proclama:
«Ecco
l'agnello
di
Dio,
ecco
colui
che
toglie
il
peccato
del
mondo».
Ciò
dice
per
ispirazione
dello
Spirito
Santo,
rendendo
testimonianza
al
compimento
della
profezia
di
Isaia.
Al
tempo
stesso,
egli
confessa
la
fede
nella
missione
redentrice
di
Gesù
di
Nazareth.
Sulle
labbra
di
Giovanni
Battista
«Agnello
di
Dio»
è
un'affermazione
della
verità
intorno
al
Redentore,
non
meno
significativa
di
quella
usata
da
Isaia:
«Servo
del
Signore».
Così,
con
la
testimonianza
di
Giovanni
al
Giordano,
Gesù
di
Nazareth,
rifiutato
dai
propri
concittadini,
viene
elevato
agli
occhi
di
Israele
come
Messia,
cioè
«Unto»
con
lo
Spirito
Santo.
E
tale
testimonianza
viene
corroborata
da
un'altra
testimonianza
di
ordine
superiore,
menzionata
dai
tre
Sinottici.
Infatti,
quando
tutto
il
popolo
fu
battezzato
e
mentre
Gesù,
ricevuto
il
battesimo,
stava
in
preghiera,
«il
cielo
si
aprì
e
scese
su di
lui
lo
Spirito
Santo
in
apparenza
corporea,
come
una
colomba»
e,
contemporaneamente,
«vi
fu
una
voce
dal
cielo,
che
disse:
Questi
è il
Figlio
mio
prediletto,
nel
quale
mi
sono
compiaciuto
». E
una
teofania
trinitaria,
che
rende
testimonianza
all'esaltazione
di
Cristo
in
occasione
del
battesimo
al
Giordano.
Essa
non
solo
conferma
la
testimonianza
di
Giovanni
Battista,
ma
svela
una
dimensione
ancora
più
profonda
della
verità
su
Gesù
di
Nazareth
come
Messia.
Ecco:
il
Messia
è il
Figlio
prediletto
del
Padre.
La
sua
solenne
esaltazione
non
si
riduce
alla
missione
messianica
del
«Servo
del
Signore».
Alla
luce
della
teofania
del
Giordano,
questa
esaltazione
raggiunge
il
mistero
della
stessa
persona
del
Messia.
Egli
è
esaltato,
perché
è il
Figlio
del
divino
compiacimento.
La
voce
dall'alto
dice:
«Il
Figlio
mio».
20.
La
teofania
del
Giordano
rischiara
solo
fugacemente
il
mistero
di
Gesù
di
Nazareth,
la
cui
intera
attività
si
svolgerà
sotto
la
presenza
attiva
dello
Spirito
Santo.
Tale
mistero
sarebbe
stato
da
Gesù
stesso
svelato
e
confermato
gradualmente
mediante
tutto
ciò
che
«fece
e
insegnò».
Sulla
linea
di
questo
insegnamento
e dei
segni
messianici
che
Gesù
compì
prima
di
giungere
al
discorso
di
addio
nel
Cenacolo,
troviamo
eventi
e
parole
che
costituiscono
momenti
particolarmente
importanti
di
questa
progressiva
rivelazione.
Così
l'evangelista
Luca,
che
ha già
presentato
Gesù
«pieno
di
Spirito
Santo»
e «condotto
dallo
Spirito
nel
deserto»,
ci fa
sapere
che,
dopo
il
ritorno
dei
settantadue
discepoli
dalla
missione
affidata
loro
dal
Maestro,
mentre
pieni
di
gioia
gli
raccontavano
i
frutti
del
loro
lavoro,
«in
quello
stesso
istante
Gesù
esultò
nello
Spirito
Santo
e
disse:
--Io
ti
rendo
lode,
Padre,
Signore
del
cielo
e
della
terra,
che
hai
nascosto
queste
cose
ai
dotti
e ai
sapienti
e le
hai
rivelate
ai
piccoli.
Sì,
Padre,
perché
così
ti è
piaciuto».
Gesù
esulta
per
la
paternità
divina;
esulta,
perché
gli
è
dato
di
rivelare
questa
paternità;
esulta,
infine,
quasi
per
una
speciale
irradiazione
di
questa
paternità
divina
sui
«piccoli».
E
l'evangelista
qualifica
tutto
questo
come
«esultanza
nello
Spirito
Santo».
Una
tale
esultanza,
in un
certo
senso,
sollecita
Gesù
a
dire
ancora
di più.
Ascoltiamo:
«Ogni
cosa
mi è
stata
affidata
dal
Padre
mio,
e
nessuno
sa
chi
è il
Figlio
se
non
il
Padre,
né
chi
è il
Padre
se
non
il
Figlio
e
colui
al
quale
il
Figlio
lo
voglia
rivelare».
21.
Ciò
che
durante
la
teofania
del
Giordano
è
venuto,
per
così
dire,
«dall'esterno»,
dall'Alto,
qui
proviene
«dall'interno»,
cioè
dal
profondo
di ciò
che
è
Gesù.
È
un'altra
rivelazione
del
Padre
e del
Figlio,
uniti
nello
Spirito
Santo,
Gesù
parla
solo
della
paternità
di
Dio e
della
propria
figliolanza--non
parla
direttamente
dello
Spirito
che
è
amore
e,
per
questo,
unione
del
Padre
e del
Figlio.
Nondimeno,
quello
che
dice
del
Padre
e di
sé-Figlio
scaturisce
da
quella
pienezza
dello
Spirito,
che
è in
lui e
che
si
riversa
nel
suo
cuore,
pervade
il
suo
stesso
«io»
ispira
e
vivifica
dal
profondo
la
sua
azione.
Di
qui
quell'«esultare
nello
Spirito
Santo».
L'unione
di
Cristo
con
lo
Spirito
Santo,
di
cui
egli
ha
perfetta
coscienza,
si
esprime
in
quell'«esultanza»,
che
in
certo
modo
rende
percepibile
la
sua
arcana
sorgente.
Si ha
così
una
speciale
manifestazione
ed
esaltazione,
che
è
propria
del
Figlio
dell'uomo,
di
Cristo-Messia
la
cui
umanità
appartiene
alla
Persona
del
Figlio
di
Dio,
sostanzialmente
uno
con
lo
Spirito
Santo
nella
divinità.
Nella
magnifica
confessione
della
paternità
di
Dio
Gesù
di
Nazareth
manifesta
anche
se
stesso,
il
suo
«io»
divino:
egli,
infatti,
è il
Figlio
«della
stessa
sostanza»
e,
perciò,
«nessuno
sa
chi
è il
Figlio
se
non
il
Padre,
né
chi
è il
Padre
se
non
il
Figlio»,
quel
Figlio
che
«per
noi
uomini
e per
la
nostra
salvezza»
si è
fatto
uomo
per
opera
dello
Spirito
Santo
ed è
nato
da
una
vergine,
il
cui
nome
era
Maria.
6.
Cristo
risorto
dice:
«Ricevete
lo
Spirito
Santo»
22.
Grazie
alla
sua
narrazione
Luca
ci
conduce
alla
massima
vicinanza
con
la
verità
contenuta
nel
discorso
del
Cenacolo.
Gesù
di
Nazareth,
«elevato»
nello
Spirito
Santo,
durante
questo
discorso-colloquio,
si
manifesta
come
colui
che
«porta»
lo
Spirito,
come
colui
che
lo
deve
portare
e «dare»
agli
apostoli
e
alla
Chiesa
a
prezzo
della
sua
«dipartita»
mediante
la
Croce.
Col
verbo
«portare»
qui
si
vuol
dire,
prima
di
tutto
«rivelare».
Nell'Antico
Testamento,
fin
dal
Libro
della
Genesi
lo
spirito
di
Dio
è
stato
in
qualche
modo
fatto
conoscere
dapprima
come
«soffio»
di
Dio
che dà
la
vita,
come
«soffio
vitale»
soprannaturale.
Nel
Libro
di
Isaia
è
presentato
come
un «dono»
per
la
persona
del
Messia
come
colui
che
su di
lui
si
posa,
per
guidare
dall'interno
tutta
la
sua
attività
salvifica.
Presso
il
Giordano
l'annuncio
di
Isaia
si è
rivestito
di
una
forma
concreta:
Gesù
di
Nazareth
è
colui
che
viene
nello
Spirito
Santo
e lo
porta
come
dono
proprio
della
sua
stessa
persona,
per
espanderlo
attraverso
la
sua
umanità:
«Egli
vi
battezzerà
in
Spirito
Santo».
Nel
Vangelo
di
Luca
è
confermata
e
arricchita
questa
rivelazione
dello
Spirito
Santo,
come
intima
sorgente
della
vita
e
dell'azione
messianica
di
Gesù
Cristo.
Alla
luce
di ciò
che
Gesù
dice
nel
discorso
del
Cenacolo,
lo
Spirito
Santo
viene
rivelato
in un
modo
nuovo
e più
pieno.
Egli
è
non
solo
il
dono
alla
persona
(alla
persona
del
Messia),
ma è
una
Persona-dono.
Gesù
ne
annuncia
la
venuta
come
quella
di «un
altro
consolatore»,
il
quale,
essendo
lo
Spirito
di
verità,
condurrà
gli
apostoli
e la
Chiesa
«alla
verità
tutta
intera».
Ciò
si
compirà
in
ragione
della
speciale
comunione
tra
lo
Spirito
Santo
e
Cristo:
«Prenderà
del
mio e
ve
l'annuncerà».
Questa
comunione
ha la
sua
fonte
originaria
nel
Padre
«Tutto
quello
che
il
Padre
possiede
è
mio;
per
questo,
ho
detto
che
prenderà
del
mio e
ve
l'annuncerà».
Provenendo
dal
Padre,
lo
Spirito
Santo
è
mandato
dal
Padre.
Lo
Spirito
Santo
prima
è
stato
mandato
come
dono
per
il
Figlio
che
si è
fatto
uomo,
per
adempiere
gli
annunci
messianici.
Dopo
la «dipartita»
di
Cristo-Figlio,
secondo
il
testo
giovanneo,
lo
Spirito
Santo
«
verrà»
direttamente--è
la
sua
nuova
missione--a
completare
l'opera
stessa
del
Figlio.
Così
sarà
lui a
portare
a
compimento
la
nuova
èra
della
storia
della
salvezza.
23.
Ci
troviamo
sulla
soglia
degli
eventi
pasquali.
La
nuova,
definitiva
rivelazione
dello
Spirito
Santo
come
Persona
che
è il
dono,
si
compie
proprio
in
questo
momento.
Gli
eventi
pasquali--la
passione,
la
morte
e la
risurrezione
di
Cristo--sono
anche
il
tempo
della
nuova
venuta
dello
Spirito
Santo,
come
Paraclito
e
Spirito
di
verità.
Sono
il
tempo
del
«nuovo
inizio»
della
comunicazione
del
Dio
uno e
trino
all'umanità
nello
Spirito
Santo,
per
opera
di
Cristo
Redentore.
Questo
nuovo
inizio
è la
redenzione
del
mondo:
«Dio
infatti
ha
tanto
amato
il
mondo
da
dare
il
suo
Figlio
unigenito».
Già
nel
«dare»
il
Figlio,
nel
dono
del
Figlio
si
esprime
la più
profonda
essenza
di
Dio,
il
quale,
come
amore,
è
fonte
inesauribile
dell'elargizione.
Nel
dono
fatto
dal
Figlio
si
completano
la
rivelazione
e
l'elargizione
dell'eterno
amore:
lo
Spirito
Santo,
che
nelle
imperscrutabili
profondità
della
divinità
è
una
Persona-dono,
per
opera
del
Figlio,
cioè
mediante
il
mistero
pasquale,
in
modo
nuovo
viene
dato
agli
apostoli
e
alla
Chiesa
e,
per
mezzo
di
essi,
all'umanità
e al
mondo
intero.
24.
L'espressione
definitiva
di
questo
mistero
si ha
nel
giorno
della
Risurrezione.
In
questo
giorno
Gesù
di
Nazareth,
«nato
dalla
stirpe
di
Davide
secondo
la
carne»--
come
scrive
l'apostolo
Paolo--viene
«costituito
Figlio
di
Dio
con
potenza
secondo
lo
Spirito
di
santificazione
mediante
la
risurrezione
dai
morti».
Si può
dire
così
che
l'«elevazione»
messianica
di
Cristo
nello
Spirito
Santo
raggiunga
il
suo
zenit
nella
Risurrezione,
nella
quale
egli
si
rivela
anche
come
Figlio
di
Dio,
«pieno
di
potenza».
E
questa
potenza,
le
cui
fonti
zampillano
nell'imperscrutabile
comunione
trinitaria,
si
manifesta,
prima
di
tutto,
nel
fatto
che
il
Cristo
risorto,
se da
una
parte
adempie
la
promessa
di
Dio,
già
espressa
per
bocca
del
Profeta:
«Vi
darò
un
cuore
nuovo,
metterò
dentro
di
voi
uno
spirito
nuovo,
...il
mio
spirito»,
dall'altra
compie
la
sua
stessa
promessa,
fatta
agli
apostoli
con
le
parole:
«Quando
me ne
sarò
andato,
ve lo
manderò».
È
lui:
lo
Spirito
di
verità,
il
Paraclito,
mandato
da
Cristo
risorto
per
trasformarci
nella
sua
stessa
immagine
di
risorto.
Ecco:
«La
sera
di
quello
stesso
giorno,
il
primo
dopo
il
sabato,
mentre
erano
chiuse
le
porte
del
luogo
dove
si
trovavano
i
discepoli
per
timore
dei
Giudei,
venne
Gesù,
si
fermò
in
mezzo
a
loro
e
disse:
"Pace
a
voi!".
Detto
questo,
mostrò
loro
le
mani
e il
costato.
E i
discepoli
gioirono
al
vedere
il
Signore.
Gesù
disse
loro
di
nuovo:
"Pace
a
voi!
Come
il
Padre
ha
mandato
me,
anch'io
mando
voi".
Dopo
aver
detto
questo,
alitò
su di
loro
e
disse:
"Ricevete
lo
Spirito
Santo"».
Tutti
i
particolari
di
questo
testo-chiave
del
Vangelo
di
Giovanni
hanno
una
loro
eloquenza,
specialmente
se li
rileggiamo
in
riferimento
alle
parole
pronunciate
nello
stesso
Cenacolo
all'inizio
degli
eventi
pasquali.
Ormai
questi
eventi--il
triduum
sacrum
di
Gesù,
che
il
Padre
ha
consacrato
con
l'unzione
e
mandato
nel
mondo--
raggiungono
il
loro
compimento.
Il
Cristo,
che
«aveva
reso
lo
spirito»
sulla
Croce»,
come
Figlio
dell'uomo
e
Agnello
di
Dio,
una
volta
risorto,
va
dagli
apostoli
per
«alitare
su di
loro»
con
quella
potenza,
di
cui
parla
la
Lettera
ai
Romani.
La
venuta
del
Signore
riempie
di
gioia
i
presenti:
«La
loro
afflizione
si
cambia
in
gioia»,
come
già
aveva
egli
stesso
promesso
prima
della
sua
passione.
E
soprattutto
si
avvera
il
principale
annuncio
del
discorso
di
addio:
il
Cristo
risorto,
quasi
avviando
una
nuova
creazione,
«porta»
agli
apostoli
lo
Spirito
Santo.
Lo
porta
a
prezzo
della
sua
«dipartita»:
dà
loro
questo
Spirito
quasi
attraverso
le
ferite
della
sua
crocifissione:
«Mostrò
loro
le
mani
e il
costato».
È in
forza
di
questa
crocifissione
che
egli
dice
loro:
«Ricevete
lo
Spirito
Santo».
Si
stabilisce
così
uno
stretto
legame
tra
l'invio
del
Figlio
e
quello
dello
Spirito
Santo.
Non
c'è
invio
dello
Spirito
Santo
(dopo
il
peccato
originale)
senza
la
Croce
e la
Risurrezione:
«Se
non
me ne
vado,
non
verrà
a voi
il
consolatore».
Si
stabilisce
anche
uno
stretto
legame
tra
la
missione
dello
Spirito
Santo
e
quella
del
Figlio
nella
redenzione.
La
missione
del
Figlio,
in un
certo
senso,
trova
il
suo
«compimento»
nella
redenzione.
La
missione
dello
Spirito
Santo
«attinge»
alla
redenzione:
«Egli
prenderà
del
mio e
ve
l'annuncerà».
La
redenzione
viene
totalmente
operata
dal
Figlio
come
dall'Unto,
che
è
venuto
ed ha
agito
nella
potenza
dello
Spirito
Santo,
offrendosi
alla
fine
in
sacrificio
sul
legno
della
Croce.
E
questa
redenzione
viene,
al
tempo
stesso,
operata
costantemente
nei
cuori
e
nelle
coscienze
umane--nella
storia
del
mondo--dallo
Spirito
Santo,
che
è l'«altro
consolatore».
7.
Lo
Spirito
Santo
e il
tempo
della
Chiesa
25.
«Compiuta
l'opera
che
il
Padre
aveva
affidato
al
Figlio
sulla
terra
(Gv17,4),
il
giorno
di
Pentecoste
fu
inviato
lo
Spirito
Santo
per
santificare
di
continuo
la
Chiesa,
e i
credenti
avessero
così,
mediante
Cristo,
accesso
al
Padre
in un
solo
Spirito».
È
questi
lo
Spirito
di
vita,
la
sorgente
dell'acqua
zampillante
fino
alla
vita
eterna
(Gv4,14);
(Gv7,38),
colui
per
mezzo
del
quale
il
Padre
ridona
la
vita
agli
uomini,
morti
per
il
peccato,
finché
un
giorno
risusciterà
in
Cristo
i
loro
corpi
mortali
(Rm8,10)».
In
questo
modo
il
Concilio
Vaticano
II
parla
della
nascita
della
Chiesa
nel
giorno
della
Pentecoste.
Questo
evento
costituisce
la
definitiva
manifestazione
di ciò
che
si
era
compiuto
nello
stesso
Cenacolo
già
la
domenica
di
Pasqua.
Il
Cristo
risorto
venne
e «portò»
agli
apostoli
lo
Spirito
Santo.
Lo
diede
loro
dicendo:
«Ricevete
lo
Spirito
Santo».
Ciò
che
era
avvenuto
allora
all'interno
del
Cenacolo,
«a
porte
chiuse,
più
tardi,
il
giorno
della
Pentecoste
si
manifesta
anche
all'esterno,
davanti
agli
uomini.
Si
aprono
le
porte
del
Cenacolo,
e gli
apostoli
si
dirigono
verso
gli
abitanti
e i
pellegrini
convenuti
a
Gerusalemme
in
occasione
della
festa,
per
rendere
testimonianza
a
Cristo
nella
potenza
dello
Spirito
Santo.
In
questo
modo
si
adempie
l'annuncio:
«Egli
mi
renderà
testimonianza;
e
anche
voi
mi
renderete
testimonianza,
perché
siete
stati
con
me
fin
dal
principio».
Leggiamo
in un
altro
documento
del
Vaticano
II:
«Indubbiamente
lo
Spirito
Santo
operava
nel
mondo
prima
ancora
che
Cristo
fosse
glorificato.
Ma fu
nel
giorno
della
Pentecoste
che
egli
discese
sui
discepoli,
per
rimanere
con
loro
in
eterno,
e la
Chiesa
apparve
pubblicamente
di
fronte
alla
moltitudine,
ed
ebbe
inizio
mediante
la
predicazione
e la
diffusione
del
Vangelo
in
mezzo
ai
pagani».
Il
tempo
della
Chiesa
ha
avuto
inizio
con
la «venuta»,
cioè
con
la
discesa
dello
Spirito
Santo
sugli
apostoli
riuniti
nel
Cenacolo
di
Gerusalemme
insieme
con
Maria,
la
Madre
del
Signore.
Il
tempo
della
Chiesa
ha
avuto
inizio
nel
momento
in
cui
le
promesse
e gli
annunci,
che
così
esplicitamente
si
riferivano
al
consolatore,
allo
Spirito
di
verità,
hanno
cominciato
ad
avverarsi
in
tutta
potenza
ed
evidenza
sugli
apostoli,
determinando
così
la
nascita
della
Chiesa.
Di
questo
parlano
diffusamente
e in
molti
passi
gli
Atti
degli
Apostoli
dai
quali
risulta
che,
secondo
la
coscienza
della
prima
comunità,
di
cui
Luca
esprime
le
certezze,
lo
Spirito
Santo
ha
assunto
la
guida
invisibile--
ma in
certo
modo
«percepibile»--di
coloro
che,
dopo
la
dipartita
del
Signore
Gesù,
sentivano
profondamente
di
essere
rimasti
orfani.
Con
la
venuta
dello
Spirito
essi
si
sono
sentiti
idonei
a
compiere
la
missione
loro
affidata.
Si
sono
sentiti
pieni
di
fortezza.
Proprio
questo
ha
operato
in
loro
lo
Spirito
Santo,
e
questo
egli
opera
continuamente
nella
Chiesa
mediante
i
loro
successori.
La
grazia
dello
Spirito
Santo,
infatti,
che
gli
apostoli
con
l'imposizione
delle
mani
diedero
ai
loro
collaboratori,
continua
ad
essere
trasmessa
nell'Ordinazione
episcopale.
I
Vescovi
poi
col
Sacramento
dell'ordine
rendono
partecipi
di
tale
dono
spirituale
i
sacri
ministri
e
provvedono
a
che,
mediante
il
Sacramento
della
confermazione,
ne
siano
corroborati
tutti
i
rinati
dall'acqua
e
dallo
Spirito.
Così,
in
certo
modo,
si
perpetua
nella
Chiesa
la
grazia
di
Pentecoste.
Come
scrive
il
Concilio,
«lo
Spirito
dimora
nella
Chiesa
e nei
cuori
dei
fedeli
come
in un
tempio
(1Cor3,16);
(1Cor6,19),
e in
essi
prega
e
rende
testimonianza
della
loro
adozione
a
figli
(Gal4,6);
(Rm8,15).
Egli
introduce
la
Chiesa
in
tutta
intera
la
verità
(Gv16,13),
la
unifica
nella
comunione
e nel
ministero,
la
edifica
e
dirige
con i
diversi
doni
gerarchici
e
carismatici,
la
arricchisce
dei
suoi
frutti
(Ef4,11);
(1Cor12,4);
(Gal5,22).
Con
la
forza
del
Vangelo
mantiene
la
Chiesa
continuamente
giovane,
costantamente
la
rinnova
e la
conduce
alla
perfetta
unione
col
suo
Sposo».
26.
I
passi
riportati
dalla
Costituzione
conciliare
Lumen
gentium
ci
dicono
che,
con
la
venuta
dello
Spirito
Santo,
ebbe
inizio
il
tempo
della
Chiesa.
Essi
ci
dicono
pure
che
questo
tempo,
il
tempo
della
Chiesa,
perdura.
Perdura
attraverso
i
secoli
e le
generazioni
Nel
nostro
secolo,
in
cui
l'umanità
si è
ormai
avvicinata
al
termine
del
secondo
Millennio
dopo
Cristo,
questo
tempo
della
Chiesa
si è
espresso
in
modo
speciale
mediante
il
Concilio
Vaticano
II,
come
Concilio
del
nostro
secolo.
Si
sa,
infatti,
che
questo
è
stato
in
maniera
speciale
un
Concilio
«ecclesiologico»:
un
concilio
sul
tema
della
Chiesa.
Al
tempo
stesso,
l'insegnamento
di
questo
Concilio
è
essenzialmente
«pneumatologico»:
permeato
della
verità
sullo
Spirito
Santo,
come
anima
della
Chiesa.
Possiamo
dire
che
nel
suo
ricco
magistero
il
Concilio
Vaticano
II
contiene
propriamente
tutto
ciò
«che
lo
Spirito
dice
alle
Chiese»
in
ordine
alla
presente
fase
della
storia
della
salvezza.
Seguendo
la
guida
dello
Spirito
di
verità
e
rendendo
testimonianza
insieme
con
lui,
il
Concilio
ha
dato
una
speciale
conferma
della
presenza
dello
Spirito
Santo
consolatore.
In
certo
senso,
esso
l'ha
reso
nuovamente
«presente»
nella
nostra
difficile
epoca.
Alla
luce
di
questa
convinzione
si
comprende
meglio
la
grande
importanza
di
tutte
le
iniziative
miranti
alla
realizzazione
del
Vaticano
II,
del
suo
magistero
e del
suo
indirizzo
pastorale
ed
ecumenico.
In
questo
senso
vanno
anche
ben
considerate
e
valutate
le
successive
Assemblee
del
Sinodo
dei
Vescovi
che
mirano
a far
sì
che i
frutti
della
verità
e
dell'amore--
i
frutti
autentici
dello
Spirito
Santo--diventino
un
bene
duraturo
del
Popolo
di
Dio
nel
suo
pellegrinare
terreno
lungo
il
corso
dei
secoli.
È
indispensabile
questo
lavoro
della
Chiesa,
mirante
alla
verifica
ed al
consolidamento
dei
frutti
salvifici
dello
Spirito,
elargiti
nel
Concilio.
A
questo
scopo
bisogna
saperli
attentamente
«discernere»
da
tutto
ciò
che,
invece,
può
provenire
soprattutto
dal
«principe
di
questo
mondo».
Questo
discernimento
è
tanto
più
necessario
nella
realizzazione
dell'opera
del
Concilio,
in
quanto
questo
si è
aperto
largamente
al
mondo
contemporaneo,
come
appare
chiaramente
dalle
importanti
Costituzioni
conciliari
Gaudium
et
spes
e
Lumen
gentium.
Leggiamo
nella
Costituzione
pastorale:
«La
loro
comunità
(dei
discepoli
di
Cristo)...
è
composta
di
uomini,
i
quali,
riuniti
insieme
in
Cristo,
sono
guidati
dallo
Spirito
Santo
nel
loro
pellegrinaggio
verso
il
Regno
del
Padre,
e
hanno
ricevuto
un
messaggio
di
salvezza
da
propagare
a
tutti.
Perciò,
essa
si
sente
realmente
ed
intimamente
solidale
con
il
genere
umano
e con
la
sua
storia».
«La
Chiesa
sa
bene
che
soltanto
Dio,
al
cui
servizio
è
consacrata,
dà
risposta
ai più
profondi
desideri
del
cuore
umano,
che
non
può
mai
essere
pienamente
saziato
dai
beni
terreni».
«Lo
Spirito
di
Dio...
con
mirabile
provvidenza
dirige
il
corso
dei
tempi
e
rinnova
la
faccia
della
terra».
PARTE
II
LO
SPIRITO
CHE
CONVINCE
IL
MONDO
QUANTO
AL
PECCATO
1.
Peccato,
giustizia
e
giudizio
27.
Allorché
Gesù,
durante
il
discorso
nel
Cenacolo,
annuncia
la
venuta
dello
Spirito
Santo
«a
prezzo»
della
propria
dipartita
e
promette:
«Quando
me ne
sarò
andato,
ve lo
manderò»,
proprio
nello
stesso
contesto
aggiunge:
«E
quando
sarà
venuto,
egli
convincerà
il
mondo
quanto
al
peccato,
alla
giustizia
e al
giudizio».
Il
medesimo
consolatore
e
Spirito
di
verità,
già
promesso
come
colui
che
«insegnerà»
e «ricorderà»,
come
colui
che
«renderà
testimonianza»,
come
colui
che
«guiderà
alla
verità
tutta
intera»,
con
le
parole
ora
citate
viene
annunciato
come
colui
che
«convincerà
il
mondo
quanto
al
peccato,
alla
giustizia
e al
giudizio».
Significativo
sembra
anche
il
contesto.
Gesù
collega
questo
annuncio
dello
Spirito
Santo
alle
parole
che
indicano
la
propria
«dipartita»
mediante
la
Croce,
ed
anzi
ne
sottolineano
la
necessità:
«E
bene
per
voi
che
io me
ne
vada,
perché
se
non
me ne
vado,
non
verrà
a voi
il
consolatore».
Ma ciò
che
più
conta
è la
spiegazione
che
Gesù
stesso
aggiunge
a
queste
tre
parole:
peccato,
giustizia,
giudizio.
Dice
infatti
così:
«Egli
convincerà
il
mondo
quanto
al
peccato,
alla
giustizia
e al
giudizio.
Quanto
al
peccato,
perché
non
credono
in
me;
quanto
alla
giustizia,
perché
vado
al
Padre
e non
mi
vedrete
più;
quanto
al
giudizio,
perché
il
principe
di
questo
mondo
è
stato
giudicato».
Nel
pensiero
di
Gesù
il
peccato,
la
giustizia,
il
giudizio
hanno
un
senso
ben
preciso,
diverso
da
quello
che
forse
qualcuno
sarebbe
propenso
ad
attribuire
a
queste
parole
indipendentemente
dalla
spiegazione
di
chi
parla.
Questa
spiegazione
indica,
altresì,
come
sia
da
intendere
quel
«convincere
il
mondo»,
che
è
proprio
dell'azione
dello
Spirito
Santo.
Qui
è
importante
sia
il
significato
delle
singole
parole,
sia
il
fatto
che
Gesù
le
abbia
unite
tra
loro
nella
stessa
frase.
«Il
peccato»,
in
questo
passo,
significa
l'incredulità
che
Gesù
incontrò
in
mezzo
ai «suoi»,
cominciando
dai
concittadini
di
Nazareth.
Significa
il
rifiuto
della
sua
missione,
che
porterà
gli
uomini
a
condannarlo
a
morte.
Quando
successivamente
parla
della
«giustizia»,
Gesù
sembra
avere
in
mente
quella
giustizia
definitiva,
che
il
Padre
gli
renderà
circondandolo
con
la
gloria
della
risurrezione
e
dell'ascensione
al
Cielo:
«Vado
al
Padre».
A sua
volta,
nel
contesto
del
«peccato»
e
della
«giustizia»
così
intesi,
«il
giudizio»
significa
che
lo
Spirito
di
verità
dimostrerà
la
colpa
del
«mondo»
nella
condanna
di
Gesù
alla
morte
di
Croce.
Tuttavia,
il
Cristo
non
è
venuto
nel
mondo
solamente
per
giudicarlo
e
condannarlo:
egli
è
venuto
per
salvarlo.
Il
convincere
del
peccato
e
della
giustizia
ha
come
scopo
la
salvezza
del
mondo,
la
salvezza
degli
uomini.
Proprio
questa
verità
sembra
essere
sottolineata
dall'affermazione
che
«il
giudizio»
riguarda
solamente
il «principe
di
questo
mondo»,
cioè
Satana
colui
che
sin
dall'inizio
sfrutta
l'opera
della
creazione
contro
la
salvezza,
contro
l'alleanza
e
l'unione
dell'uomo
con
Dio:
egli
è «già
giudicato»
sin
dall'inizio.
Se lo
Spirito
consolatore
deve
convincere
il
mondo
proprio
quanto
al
giudizio,
e per
continuare
in
esso
l'opera
salvifica
di
Cristo.
28.
Qui
vogliamo
concentrare
la
nostra
attenzione
principalmente
su
questa
missione
dello
Spirito
Santo
che
è di
«convincere
il
mondo
quanto
al
peccato»,
ma
rispettando
al
tempo
stesso
il
contesto
generale
delle
parole
di
Gesù
nel
Cenacolo.
Lo
Spirito
Santo,
che
assume
dal
Figlio
l'opera
della
redenzione
del
mondo,
assume
con
ciò
stesso
il
compito
del
salvifico
«convincere
del
peccato».
Questo
convincere
è in
costante
riferimento
alla
«giustizia»,
cioè
alla
definitiva
salvezza
in
Dio,
al
compimento
dell'economia
che
ha
come
centro
il
Cristo
crocifisso
e
glorificato.
E
questa
economia
salvifca
di
Dio
sottrae,
in
certo
senso,
l'uomo
dal
«giudizio»,
cioè
dalla
dannazione,
con
la
quale
è
stato
colpito
il
peccato
di
Satana,
«principe
di
questo
mondo»,
colui
che a
causa
del
suo
peccato
è
divenuto
«dominatore
di
questo
mondo
di
tenebra».
Ed
ecco
che,
mediante
tale
riferimento
al «giudizio»,
si
schiudono
vasti
orizzonti
per
la
comprensione
del
«peccato»,
nonché
della
«giustizia».
Lo
Spirito
Santo,
mostrando
sullo
sfondo
della
Croce
di
Cristo
il
peccato
nell'economia
della
salvezza
(si
potrebbe
dire:
«il
peccato
salvato»),
fa
comprendere
come
sia
sua
missione
«convincere»
anche
del
peccato
che
è già
stato
giudicato
definitivamente
(«il
peccato
condannato»).
29.
Tutte
le
parole,
pronunciate
dal
Redentore
nel
Cenacolo
alla
vigilia
della
sua
passione,
si
inscrivono
nel
tempo
della
Chiesa;
prima
di
tutto,
quelle
sullo
Spirito
Santo
come
Paraclito
e
Spirito
di
verità.
Esse
vi si
inscrivono
in
modo
sempre
nuovo,
in
ogni
generazione,
in
ogni
epoca.
Ciò
è
confermato,
per
quanto
riguarda
il
nostro
secolo,
dall'insieme
dell'insegnamento
del
Concilio
Vaticano
II,
specialmente
della
Costituzione
pastorale
«Gaudium
et
spes».
Molti
passi
di
questo
documento
indicano
chiaramente
che
il
Concilio,
aprendosi
alla
luce
dello
Spirito
di
verità,
si
presenta
come
l'autentico
depositario
degli
annunci
e
delle
promesse
fatte
da
Cristo
agli
apostoli
ed
alla
Chiesa
nel
discorso
di
addio:
in
modo
particolare,
di
quell'annuncio,
secondo
il
quale
lo
Spirito
Santo
deve
«convincere
il
mondo
quanto
al
peccato
alla
giustizia
e al
giudizio».
Ciò
indica
già
il
testo,
nel
quale
il
Concilio
spiega
come
intende
il «mondo»:
«Il
mondo
che
esso
(il
Concilio
stesso)
ha
presente
è
perciò
quello
degli
uomini,
ossia
l'intera
famiglia
umana
nel
contesto
di
tutte
quelle
realtà,
entro
le
quali
essa
vive.
il
mondo
che
è
teatro
della
storia
del
genere
umano
e
reca
i
segni
dei
suoi
sforzi,
delle
sue
sconfitte
e
delle
sue
vittorie;
il
mondo
che i
cristiani
credono
creato
e
conservato
dall'amore
del
Creatore,
mondo
certamente
posto
sotto
la
schiavitù
del
peccato,
ma
liberato
da
Cristo
crocifisso
e
risorto,
con
la
sconfitta
del
Maligno,
affinché,
secondo
il
disegno
di
Dio,
sia
trasformato
e
giunga
al
suo
compimento».
In
riferimento
a
questo
testo
molto
sintetico
bisogna
leggere
nella
medesima
Costituzione
gli
altri
passi,
intesi
ad
esporre
con
tutto
il
realismo
della
fede
la
situazione
del
peccato
nel
mondo
contemporaneo,
nonché
di
spiegare
la
sua
essenza,
partendo
da
diversi
punti
di
vista.
Quando
Gesù,
la
vigilia
di
Pasqua,
parla
dello
Spirito
Santo
come
di
colui
che
«convincerà
il
mondo
quanto
al
peccato»,
da
una
parte
si
deve
dare
a
questa
sua
affermazione
la
portata
più
vasta
possibile,
in
quanto
comprende
tutto
l'insieme
dei
peccati
nella
storia
dell'umanità.
D'altra
parte,
però,
quando
Gesù
spiega
che
questo
peccato
consiste
nel
fatto
che
«non
credono
in
lui»,
tale
portata
sembra
restringersi
a
coloro
che
hanno
rifiutato
la
missione
messianica
del
Figlio
dell'uomo,
condannandolo
alla
morte
di
Croce.
Ma è
difficile
non
notare
come
questa
portata
più
«ridotta»
e
storicamente
precisata
del
significato
del
peccato
si
dilati
fino
ad
assumere
un'ampiezza
universale
a
motivo
dell'universalità
della
redenzione,
che
si è
compiuta
per
mezzo
della
Croce.
La
rivelazione
del
mistero
della
redenzione
apre
la
strada
a una
comprensione,
nella
quale
ogni
peccato,
dovunque
ed in
qualsiasi
momento
commesso,
viene
riferito
alla
Croce
di
Cristo--e,
dunque,
indirettamente
anche
al
peccato
di
coloro
che
«non
hanno
creduto
in
lui»
condannando
Gesù
Cristo
alla
morte
di
Croce.
Da
questo
punto
di
vista
occorre
ritornare
all'evento
della
Pentecoste.
2.
La
testimonianza
del
giorno
della
Pentecoste
30.
Nel
giorno
della
Pentecoste
trovarono
la
loro
più
esatta
e
diretta
conferma
gli
annunci
di
Cristo
nel
discorso
di
addio
e, in
particolare,
l'annuncio
del
quale
stiamo
trattando:
«Il
consolatore...
convincerà
il
mondo
quanto
al
peccato».
Quel
giorno,
sugli
apostoli
raccolti
in
preghiera
insieme
con
Maria,
Madre
di
Gesù,
nello
stesso
Cenacolo,
discese
lo
Spirito
Santo
promesso,
come
leggiamo
negli
Atti
degli
Apostoli:
«Ed
essi
furono
tutti
pieni
di
Spirito
Santo
e
cominciarono
a
parlare
in
altre
lingue
come
lo
Spirito
dava
loro
il
potere
di
esprimersi»,
«riconducendo
in
tal
modo
all'unità
le
razze
disperse
e
offrendo
al
Padre
le
primizie
di
tutte
le
nazioni».
È
chiaro
il
rapporto
tra
l'annuncio
fatto
da
Cristo
e
questo
evento.
Noi
vi
scorgiamo
il
primo
e
fondamentale
compimento
della
promessa
del
Paraclito.
Questi
viene
mandato
dal
Padre,
«dopo»
la
dipartita
di
Cristo,
«a
prezzo»
di
essa.
Questa
è
dapprima
una
dipartita
mediante
la
morte
in
Croce,
e
poi,
quaranta
giorni
dopo
la
risurrezione,
mediante
l'ascensione
al
Cielo.
Ancora
nel
momento
dell'ascensione
Gesù
ordina
agli
apostoli
«di
non
allontanarsi
da
Gerusalemme,
ma di
attendere
che
si
adempisse
la
promessa
del
Padre»;
«sarete
battezzati
in
Spirito
Santo,
fra
non
molti
giorni»;
«riceverete
forza
dallo
Spirito
Santo,
che
scenderà
su di
voi,
e mi
sarete
testimoni
a
Gerusalemme,
in
tutta
la
Giudea
e la
Samaria
e
fino
agli
estremi
confini
della
terra»"'.
Queste
ultime
parole
racchiudono
un'eco,
o un
ricordo
dell'annuncio
fatto
nel
Cenacolo.
E il
giorno
della
Pentecoste
tale
annuncio
si
avvera
in
tutta
esattezza.
Agendo
sotto
l'influsso
dello
Spirito
Santo,
ricevuto
dagli
apostoli
durante
la
preghiera
nel
Cenacolo,
davanti
ad
una
moltitudine
di
gente
di
diverse
lingue,
radunata
per
la
festa,
Pietro
si
presenta
e
parla.
Proclama
ciò
che
certamente
non
avrebbe
avuto
il
coraggio
di
dire
in
precedenza:
«Uomini
d'Israele,
...
Gesù
di
Nazareth--uomo
accreditato
da
Dio
presso
di
voi
per
mezzo
di
miracoli,
prodigi
e
segni,
che
Dio
stesso
operò
fra
voi
per
opera
sua--dopo
che,
secondo
il
prestabilito
disegno
e la
prescienza
di
Dio,
fu
consegnato
a
voi,
voi
l'avete
inchiodato
sulla
croce
per
mano
di
empi
e
l'avete
ucciso.
Ma
Dio
lo ha
risuscitato,
sciogliendolo
dalle
angosce
della
morte,
perché
non
era
possibile
che
questa
lo
tenesse
in
suo
potere».
Gesù
aveva
predetto
e
promesso:
«Egli
mi
renderà
testimonianza,
... e
anche
voi
mi
renderete
testimonianza».
Nel
primo
discorso
di
Pietro
a
Gerusalemme
tale
«testimonianza»
trova
il
suo
chiaro
inizio:
è la
testimonianza
intorno
a
Cristo
crocifisso
e
risorto.
Quella
dello
Spirito-Paraclito
e
degli
apostoli.
E nel
contenuto
stesso
di
tale
prima
testimonianza
lo
Spirito
di
verità
per
bocca
di
Pietro
«convince
il
mondo
quanto
al
peccato»:
prima
di
tutto,
quanto
a
quel
peccato
che
è il
rifiuto
del
Cristo
fino
alla
condanna
a
morte,
fino
alla
Croce
sul
Golgota.
Proclamazioni
di
analogo
contenuto
si
ripeteranno,
secondo
il
testo
degli
Atti
degli
Apostoli,
in
altre
occasioni
e in
diversi
luoghi.
31.
Fin
da
questa
iniziale
testimonianza
della
Pentecoste,
l'azione
dello
Spirito
di
verità,
che
«convince
il
mondo
quanto
al
peccato»
del
rifiuto
di
Cristo,
è
legata
in
modo
organico
con
la
testimonianza
da
rendere
al
mistero
pasquale:
al
mistero
del
Crocifsso
e del
Risorto.
E in
questo
legame
lo
stesso
«convincere
quanto
al
peccato»
rivela
la
propria
dimensione
salvifica.
È,
infatti,
un «convincere»
che
ha
come
scopo
non
la
sola
accusa
del
mondo,
tanto
meno
la
sua
condanna.
Gesù
Cristo
non
è
venuto
nel
mondo
per
giudicarlo
e
condannarlo,
ma
per
salvarlo.
Ciò
viene
sottolineato
già
in
questo
primo
discorso,
quando
Pietro
esclama:
«Sappia,
dunque,
con
certezza
tutta
la
casa
d'Israele
che
Dio
ha
costituito
Signore
e
Cristo
quel
Gesù,
che
voi
avete
crocifisso».
E in
seguito,
quando
i
presenti
domandano
a
Pietro
e
agli
apostoli:
«Che
cosa
dobbiamo
fare,
fratelli?»,
ecco
la
risposta:
«Pentitevi
e
ciascuno
di
voi
si
faccia
battezzare
nel
nome
di
Gesù
Cristo,
per
la
remissione
dei
vostri
peccati;
dopo
riceverete
il
dono
dello
Spirito
Santo».
In
questo
modo
il «convincere
quanto
al
peccato»
diventa
insieme
un
convincere
circa
la
remissione
dei
peccati,
nella
potenza
dello
Spirito
Santo.
Pietro
nel
suo
discorso
di
Gerusalemme
esorta
alla
conversione,
come
Gesù
esortava
i
suoi
ascoltatori
all'inizio
della
sua
attività
messianica.
La
conversione
richiede
la
convinzione
del
peccato,
contiene
in sé
il
giudizio
interiore
della
coscienza,
e
questo,
essendo
una
verifica
dell'azione
dello
Spirito
di
verità
nell'intimo
dell'uomo,
diventa
nello
stesso
tempo
il
nuovo
inizio
dell'elargizione
della
grazia
e
dell'amore:
«Ricevete
lo
Spirito
Santo».
Così
in
questo
«convincere
quanto
al
peccato»
scopriamo
una
duplice
elargizione:
il
dono
della
verità
della
coscienza
e il
dono
della
certezza
della
redenzione.
Lo
Spirito
di
verità
è il
consolatore.
Il
convincere
del
peccato,
mediante
il
ministero
dell'annuncio
apostolico
nella
Chiesa
nascente,
viene
riferito--sotto
l'impulso
dello
Spirito
effuso
nella
Pentecoste
--alla
potenza
redentrice
di
Cristo
crocifisso
e
risorto.
Così
si
adempie
la
promessa
relativa
allo
Spirito
Santo,
fatta
prima
di
pasqua:
«Egli
prenderà
del
mio e
ve
l'annuncerà».
Quando
dunque,
durante
l'evento
della
Pentecoste,
Pietro
parla
del
peccato
di
coloro
che
«non
hanno
creduto»
ed
hanno
consegnato
ad
una
morte
ignominiosa
Gesù
di
Nazareth,
egli
rende
testimonianza
alla
vittoria
sul
peccato:
vittoria
che
si è
compiuta,
in
certo
senso,
mediante
il
peccato
più
grande
che
l'uomo
poteva
commettere:
l'uccisione
di
Gesù,
Figlio
di
Dio,
consostanziale
al
Padre!
Similmente,
la
morte
del
Figlio
di
Dio
vince
la
morte
umana:
«Ero
mors
tua,
o
mors»,
come
il
peccato
di
aver
crocifisso
il
Figlio
di
Dio
«vince»
il
peccato
umano!
Quel
peccato
che
si
consumò
a
Gerusalemme
il
giorno
del
Venerdì
santo--e
anche
ogni
peccato
dell'uomo.
Infatti,
al più
grande
peccato
da
parte
dell'uomo
corrisponde,
nel
cuore
del
Redentore,
l'oblazione
del
supremo
amore,
che
supera
il
male
di
tutti
i
peccati
degli
uomini.
Sulla
base
di
questa
certezza
la
Chiesa
nella
liturgia
romana
non
esita
a
ripetere
ogni
anno,
durante
la
Veglia
pasquale,
«Ofelix
culpa!»,
nell'annuncio
della
risurrezione
dato
dal
diacono
col
canto
dell'«Exsultet!».
32.
Di
questa
verità
ineffabile,
però,
nessuno
può
«convincere
il
mondo»,
l'uomo,
l'umana
coscienza,
se
non
egli
stesso,
lo
Spirito
di
verità.
Egli
è lo
Spirito,
che
«scruta
le
profondità
di
Dio».
Di
fronte
al
mistero
del
peccato
bisogna
scrutare
«le
profondità
di
Dio»
fino
in
fondo.
Non
basta
scrutare
la
coscienza
umana,
quale
intimo
mistero
dell'uomo,
ma
bisogna
penetrare
nell'intimo
mistero
di
Dio,
in
quelle
«profondità
di
Dio»
che
si
riassumono
nella
sintesi:
al
Padre--nel
Figlio--per
mezzo
dello
Spirito
Santo.
È
proprio
lo
Spirito
Santo
che
le «scruta»,
e da
esse
trae
la
risposta
di
Dio
al
peccato
dell'uomo.
Con
questa
risposta
si
chiude
il
procedimento
del
«convincere
quanto
al
peccato»,
come
mette
in
evidenza
l'evento
della
Pentecoste.
Convincendo
il «mondo»
del
peccato
del
Golgota,
della
morte
dell'Agnello
innocente,
come
avviene
nel
giorno
della
Pentecoste,
lo
Spirito
Santo
convince
anche
di
ogni
peccato
commesso
in
ogni
luogo
ed in
qualsiasi
momento
nella
storia
dell'uomo:
egli
dimostra,
infatti
il
suo
rapporto
con
la
Croce
di
Cristo.
Il «convincere»
è la
dimostrazione
del
male
del
peccato,
di
ogni
peccato,
in
relazione
alla
Croce
di
Cristo.
Il
peccato,
mostrato
in
questa
relazione,
viene
riconosciuto
nell'intera
dimensione
del
male,
che
gli
è
propria,
per
il «mistero
dell'iniquità»
, che
in se
contiene
e
nasconde.
L'uomo
non
conosce
questa
dimensione--non
la
conosce
in
alcun
modo
al di
fuori
della
Croce
di
Cristo.
Perciò,
non
può
essere
«convinto»
di
essa
se
non
dallo
Spirito
Santo:
Spirito
di
verità,
ma
anche
consolatore.
Infatti,
il
peccato,
mostrato
in
relazione
alla
Croce
di
Cristo,
nello
stesso
tempo
viene
identificato
nella
piena
dimensione
del
«mistero
della
pietà»,
come
ha
indicato
l'Esortazione
Apostolica
post-sinodale
Reconciliatio
et
paenitentia.
Anche
questa
dimensione
del
peccato
l'uomo
non
la
conosce
in
alcun
modo
al di
fuori
della
Croce
di
Cristo.
E
anche
di
essa
egli
non
può
essere
«convinto»
se
non
dallo
Spirito
Santo:
da
colui
che
«scruta
le
profondità
di
Dio».
3.
La
testimonianza
dell'inizio:
la
realtà
originaria
del
peccato
33.
È la
dimensione
del
peccato
che
troviamo
nella
testimonianza
dell'inizio,
annotata
nel
Libro
della
Genesi.
È il
peccato
che,
secondo
la
Parola
di
Dio
rivelata,
costituisce
il
principio
e la
radice
di
tutti
gli
altri
Ci
troviamo
di
fronte
alla
realtà
originaria
del
peccato
nella
storia
dell'uomo
e, al
tempo
stesso,
nell'insieme
dell'economia
della
salvezza.
Si può
dire
che
in
questo
peccato
ha
inizio
il «mistero
dell'iniquità»,
ma
anche
che
è
questo
il
peccato,
in
ordine
al
quale
la
potenza
redentrice
del
«mistero
della
pietà»
diventa
particolarmente
trasparente
ed
efficace.
Ciò
esprime
san
Paolo,
quando
alla
«disobbedienza»
del
primo
Adamo
contrappone
l'«obbedienza»
di
Cristo,
il
secondo
Adamo:
«L'obbedienza
fino
alla
morte».
Stando
alla
testimonianza
dell'inizio,
il
peccato
nella
sua
realtà
originaria
avviene
nella
volontà--e
nella
coscienza
--dell'uomo,
prima
di
tutto,
come
«disobbedienza»,
cioè
come
opposizione
della
volontà
dell'uomo
alla
volontà
di
Dio.
Questa
disobbedienza
originaria
presuppone
il
rifiuto
o,
almeno,
l'allontanamento
dalla
verità
contenuta
nella
Parola
di
Dio,
che
crea
il
mondo.
Questa
Parola
è lo
stesso
Verbo,
che
era
«in
principio
presso
Dio»,
che
«era
Dio»
e
senza
il
quale
«niente
è
stato
fatto
di
tutto
ciò
che
esiste»,
poiché
«il
mondo
fu
fatto
per
mezzo
di
lui».
È il
Verbo
che
è
anche
eterna
legge,
fonte
di
ogni
legge,
che
regola
il
mondo
e
specialmente
gli
atti
umani.
Quando
dunque,
alla
vigilia
della
sua
passione,
Gesù
Cristo
parla
del
peccato
di
coloro
che
«non
credono
in
lui»,
in
queste
sue
parole,
piene
di
dolore,
vi è
quasi
un'eco
lontana
di
quel
peccato,
che
nella
sua
forma
originaria
si
inscrive
oscuramente
nel
mistero
stesso
della
creazione.
Colui
che
parla,
infatti,
è
non
solo
il
Figlio
dell'uomo,
ma
anche
colui
che
è «il
primogenito
di
fronte
ad
ogni
creatura»,
«poiché
per
mezzo
di
lui
sono
state
create
tutte
le
cose:....
per
mezzo
di
lui e
in
vista
di
lui».
Alla
luce
di
questa
verità
si
capisce
che
la «disobbedienza»,
nel
mistero
dell'inizio,
presuppone
in
certo
senso
la
stessa
«non-fede»,
quel
medesimo
«non
hanno
creduto»,
che
si
ripeterà
nei
riguardi
del
mistero
pasquale.
Come
abbiamo
detto,
si
tratta
del
rifiuto
o,
almeno,
dell'allontanamento
dalla
verità
contenuta
nella
Parola
del
Padre.
Il
rifiuto
si
esprime
in
pratica
come
«disobbedienza»,
in un
atto
compiuto
come
effetto
della
tentazione,
che
proviene
dal
«padre
della
menzogna».
Dunque,
alla
radice
del
peccato
umano
sta
la
menzogna
come
radicale
rifiuto
della
verità
contenuta
nel
Verbo
del
Padre,
mediante
il
quale
si
esprime
l'amorevole
onnipotenza
del
Creatore:
l'onnipotenza
ed
insieme
l'amore
«di
Dio
Padre,
creatore
del
cielo
e
della
terra».
34.
«Lo
Spirito
di
Dio»,
che
secondo
la
descrizione
biblica
della
creazione
«aleggiava
sulle
acque»,
indica
lo
stesso
«Spirito,
che
scruta
le
profondità
di
Dio»;
scruta
le
profondità
del
Padre
e del
Verbo-Figlio
nel
mistero
della
creazione.
Non
solo
è il
testimone
diretto
del
loro
reciproco
amore,
dal
quale
deriva
la
creazione,
ma è
egli
stesso
questo
amore.
Egli
stesso,
come
amore,
è
l'eterno
dono
increato.
In
lui
è la
fonte
e
l'inizio
di
ogni
elargizione
alle
creature.
La
testimonianza
dell'inizio,
che
troviamo
in
tutta
la
Rivelazione,
a
cominciare
dal
Libro
della
Genesi,
su
questo
punto
è
univoca.
Creare
vuol
dire
chiamare
all'esistenza
dal
nulla;
dunque,
creare
vuol
dire
donare
l'esistenza.
E se
il
mondo
visibile
viene
creato
per
l'uomo,
dunque
all'uomo
viene
donato
il
mondo.
E
contemporaneamente
lo
stesso
uomo
nella
propria
umanità
riceve
in
dono
una
speciale
«immagine
e
somiglianza»
di
Dio.
Ciò
significa
non
solo
razionalità
e
libertà
come
proprietà
costitutiva
della
natura
umana,
ma
anche,
sin
dall'inizio,
capacità
di un
rapporto
personale
con
Dio,
come
«io»
e «tu»
e,
dunque,
capacità
di
alleanza
che
avrà
luogo
con
la
comunicazione
salvifica
di
Dio
all'uomo.
Sullo
sfondo
dell'«immagine
e
somiglianza»
di
Dio,
«il
dono
dello
Spirito»
significa,
infine,
chiamata
all'amicizia,
nella
quale
le
trascendenti
«profondità
di
Dio»
vengono,
in
qualche
modo,
aperte
alla
partecipazione
da
parte
dell'uomo.
Il
Concilio
Vaticano
II
insegna:
«Dio
invisibile
(Col1,15);
(1Tm1,17)
nel
suo
grande
amore
parla
agli
uomini
come
ad
amici
(Es33,11);
(Gv15,14)
e si
intrattiene
con
loro
(Bar3,38),
per
invitarli
e
ammetterli
alla
comunione
con sé».
35.
Pertanto,
lo
Spirito,
che
«scruta
ogni
cosa,
anche
le
profondità
di
Dio»,
conosce
sin
dall'inizio
«i
segreti
dell'uomo».
Proprio
per
questo
egli
solo
può
pienamente
«convincere
del
peccato»
che
ci fu
all'inizio,
di
quel
peccato
che
è la
radice
di
tutti
gli
altri
e il
focolaio
della
peccaminosità
dell'uomo
sulla
terra,
che
non
si
spegne
mai.
Lo
Spirito
di
verità
conosce
la
realtà
originaria
del
peccato,
causato
nella
volontà
dell'uomo
ad
opera
del
«padre
della
menzogna»--di
colui
che
già
«è
stato
giudicato».
Lo
Spirito
Santo
convince,
dunque,
il
mondo
del
peccato
in
rapporto
a
questo
«giudizio»,
ma
costantemente
guidando
verso
la «giustizia»,
che
è
stata
rivelata
all'uomo
insieme
con
la
Croce
di
Cristo:
mediante
l'«obbedienza
fino
alla
morte».
Solo
lo
Spirito
Santo
può
convincere
del
peccato
dell'inizio
umano,
proprio
egli
che
è
l'amore
del
Padre
e del
Figlio,
egli
che
è
dono,
mentre
il
peccato
dell'inizio
umano
consiste
nella
menzogna
e nel
rifiuto
del
dono
e
dell'amore,
i
quali
decidono
dell'inizio
del
mondo
e
dell'uomo.
36.
Secondo
la
testimonianza
dell'inizio,
che
troviamo
nella
Scrittura
e
nella
Tradizione,
dopo
la
prima
(ed
anche
più
completa)
descrizione
nel
Libro
della
Genesi
il
peccato
nella
sua
forma
originaria
è
inteso
come
«disobbedienza»,
il
che
significa
semplicemente
e
direttamente
trasgressione
di un
divieto
posto
da
Dio.
Ma
alla
luce
di
tutto
il
contesto
è
pure
palese
che
le
radici
di
questa
disobbedienza
vanno
ricercate
in
profondità
nell'intera
situazione
reale
dell'uomo.
Chiamato
all'esistenza,
l'essere
umano--uomo
e
donna--è
una
creatura.
L'«immagine
di
Dio»,
consistente
nella
razionalità
e
nella
libertà,
dice
la
grandezza
e la
dignità
del
soggetto
umano,
che
è
persona.
Ma
questo
soggetto
personale
è
pur
sempre
una
creatura:
nella
sua
esistenza
ed
essenza
dipende
dal
Creatore.
Secondo
la
Genesi,
«l'albero
della
conoscenza
del
bene
e del
male»
doveva
esprimere
e
costantemente
ricordare
all'uomo
il «limite»
invalicabile
per
un
essere
creato.
In
questo
senso
va
inteso
il
divieto
da
parte
di
Dio:
il
Creatore
proibisce
all'uomo
e
alla
donna
di
mangiare
i
frutti
dell'albero
della
conoscenza
del
bene
e del
male.
Le
parole
dell'istigazione,
cioè
della
tentazione,
come
è
formulata
nel
testo
sacro,
inducono
a
trasgredire
questo
divieto
--
cioè
a
superare
quel
«limite»:
«Quando
voi
ne
mangiaste,
si
aprirebbero
i
vostri
occhi
e
diventereste
come
Dio («come
dèi»)
conoscendo
il
bene
e il
male».
La «disobbedienza»
significa
appunto
il
superamento
di
quel
limite,
che
rimane
invalicabile
alla
volontà
e
libertà
dell'uomo,
come
essere
creato.
Dio
creatore
è,
infatti,
l'unica
e
definitiva
fonte
dell'ordine
morale
nel
mondo,
da
lui
creato.
L'uomo
non
può
da se
stesso
decidere
ciò
che
è
buono
e ciò
che
è
cattivo--non
può
«conoscere
il
bene
e il
male,
come
Dio».
Sì,
Dio
nel
mondo
creato
rimane
la
prima
e
suprema
fonte
per
decidere
del
bene
e del
male,
mediante
l'intima
verità
dell'essere,
la
quale
è il
riflesso
del
Verbo,
l'eterno
Figlio,
consostanziale
al
Padre.
All'uomo
creato
ad
immagine
di
Dio
lo
Spirito
Santo
dà
in
dono
la
coscienza,
affinché
in
essa
l'immagine
possa
rispecchiare
fedelmente
il
suo
modello,
che
è
insieme
la
sapienza
e la
legge
eterna,
fonte
dell'ordine
morale
nell'uomo
e nel
mondo.
La «disobbedienza»,
come
dimensione
originaria
del
peccato,
significa
rifiuto
di
questa
fonte,
per
la
pretesa
dell'uomo
di
diventare
fonte
autonoma
ed
esclusiva
nel
decidere
del
bene
e del
male.
Lo
Spirito,
che
«scruta
le
profondità
di
Dio»
e
che,
al
tempo
stesso,
è
per
l'uomo
la
luce
della
coscienza
e la
fonte
dell'ordine
morale,
conosce
in
tutta
la
sua
pienezza
questa
dimensione
del
peccato,
che
si
inscrive
nel
mistero
dell'inizio
umano.
E non
cessa
di «convincerne
il
mondo»
in
rapporto
alla
Croce
di
Cristo
sul
Golgota.
37.
Secondo
la
testimonianza
dell'inizio,
Dio
nella
creazione
ha
rivelato
se
stesso
come
onnipotenza,
che
è
amore.
Nello
stesso
tempo
ha
rivelato
all'uomo
che,
come
«immagine
e
somiglianza»
del
suo
Creatore,
egli
è
chiamato
a
partecipare
alla
verità
e
all'amore.
Questa
partecipazione
significa
una
vita
di
unione
con
Dio,
che
è la
«vita
eterna».
Ma
l'uomo,
sotto
l'influenza
del
«padre
della
menzogna»,
si è
distaccato
da
questa
partecipazione.
In
quale
misura?
Certamente
non
nella
misura
del
peccato
di un
puro
spirito,
nella
misura
del
peccato
di
Satana.
Lo
spirito
umano
è
incapace
di
raggiungere
una
tale
misura.
Nella
stessa
descrizione
della
Genesi
è
facile
notare
la
differenza
di
grado
tra
«il
soffio
del
male»
da
parte
di
colui
che
«è
peccatore
(ossia
permane
nel
peccato)
fin
dal
principio»
e che
già
«è
stato
giudicato»,
ed il
male
della
disobbedienza
da
parte
dell'uomo.
Questa
disobbedienza,
tuttavia,
significa
pur
sempre
il
voltare
le
spalle
a Dio
e, in
un
certo
senso,
il
chiudersi
della
libertà
umana
nei
suoi
riguardi.
Significa
anche
una
certa
apertura
di
questa
libertà--della
conoscenza
e
della
volontà
umana--verso
colui
che
è il
«padre
della
menzogna».
Questo
atto
di
scelta
consapevole
non
è
solo
«disobbedienza»,
ma
porta
con sé
anche
una
certa
adesione
alla
motivazione
contenuta
nella
prima
istigazione
al
peccato
e
incessantemente
rinnovata
durante
tutta
la
storia
dell'uomo
sulla
terra:
«Dio
sa
che,
quando
voi
ne
mangiaste,
si
aprirebbero
i
vostri
occhi
e
diventereste
come
Dio,
conoscendo
il
bene
e il
male».
Ci
troviamo
qui
al
centro
stesso
di ciò
che
si
potrebbe
chiamare
l'«anti-Verbo»,
cioè
l'«anti-verità».
Viene,
infatti,
falsata
la
verità
dell'uomo:
chi
è
l'uomo
e
quali
sono
i
limiti
invalicabili
del
suo
essere
e
della
sua
libertà.
Questa
«anti-verità»
è
possibile,
perché
nello
stesso
tempo
viene
falsata
completamente
la
verità
su
chi
è
Dio.
Il
Dio
creatore
viene
posto
in
stato
di
sospetto,
anzi
addirittura
in
stato
di
accusa,
nella
coscienza
della
creatura.
Per
la
prima
volta
nella
storia
dell'uomo
appare
il
perverso
«genio
del
sospetto».
Esso
cerca
di «falsare»
il
Bene
stesso,
il
Bene
assoluto,
che
proprio
nell'opera
della
creazione
si è
manifestato
come
il
bene
che
dona
in
modo
ineffabile:
come
bonum
diffusivum
sui,
come
amore
creativo.
Chi
può
pienamente
«convincere
del
peccato»,
ossia
di
questa
motivazione
della
disobbedienza
originaria
dell'uomo,
se
non
colui
che
solo
è il
dono
e la
fonte
di
ogni
elargizione,
se
non
lo
Spirito,
che
«scruta
le
profondità
di
Dio»
ed è
l'amore
del
Padre
e del
Figlio?
38.
Infatti,
malgrado
tutta
la
testimonianza
della
creazione
e
dell'economia
salvifica
ad
essa
inerente,
lo
spirito
delle
tenebre
è
capace
di
mostrare
Dio
come
nemico
della
propria
creatura
e,
prima
di
tutto,
come
nemico
dell'uomo,
come
fonte
di
pericolo
e di
minaccia
per
l'uomo.
In
questo
modo
viene
innestato
da
Satana
nella
psicologia
dell'uomo
il
germe
dell'opposizione
nei
riguardi
di
colui
che
«sin
dall'inizio»
deve
essere
considerato
come
nemico
dell'uomo--e
non
come
Padre.
L'uomo
viene
sfidato
a
diventare
l'avversario
di
Dio!
L'analisi
del
peccato
nella
sua
originaria
dimensione
indica
che,
ad
opera
del
«padre
della
menzogna»,
vi
sarà
lungo
la
storia
dell'umanità
una
costante
pressione
al
rifiuto
di
Dio
da
parte
dell'uomo,
fino
all'odio:
«Amore
di sé
fino
al
disprezzo
di
Dio»,
come
si
esprime
sant'Agostino.
L'uomo
sarà
incline
a
vedere
in
Dio
prima
di
tutto
una
propria
limitazione,
e non
la
fonte
della
propria
liberazione
e la
pienezza
del
bene.
Ciò
vediamo
confermato
nell'epoca
moderna,
nella
quale
le
ideologie
atee
tendono
a
sradicare
la
religione
in
base
al
presupposto
che
essa
determini
una
radicale
«alienazione»
dell'uomo
come
se
l'uomo
venisse
espropriato
della
propria
umanità,
quando,
accettando
l'idea
di
Dio,
attribuisce
a lui
ciò
che
appartiene
all'uomo,
ed
esclusivamente
all'uomo!
Di
qui
un
processo
di
pensiero
e di
prassi
storico-sociologica,
in
cui
il
rifiuto
di
Dio
è
pervenuto
fino
alla
dichiarazione
della
sua
«morte».
Un'assurdità,
questa,
concettuale
e
verbale!
Ma
l'ideologia
della
«morte
di
Dio»
minaccia
piuttosto
l'uomo,
come
indica
il
Vaticano
II,
quando,
sottoponendo
ad
analisi
la
questione
dell'«autonomia
delle
cose
temporali»,
scrive:
«La
creatura...
senza
il
Creatore
svanisce...
Anzi,
l'oblio
di
Dio
priva
di
luce
la
creatura
stessa».
L'ideologia
della
«morte
di
Dio»
nei
suoi
effetti
dimostra
facilmente
di
essere,
sul
piano
teoretico
e
pratico,
l'ideologia
della
«morte
dell'uomo».
4.
Lo
Spirito,
che
trasforma
la
sofferenza
in
amore
salvifico
39.
Lo
Spirito,
che
scruta
le
profondità
di
Dio,
è
stato
chiamato
da
Gesù
nel
discorso
del
Cenacolo
il
Paraclito.
Infatti,
sin
dall'inizio
«viene
invocato»
per
«convincere
il
mondo
quanto
al
peccato».
Egli
viene
invocato
in
modo
definitivo
per
mezzo
della
Croce
di
Cristo.
Convincere
del
peccato
vuol
dire
dimostrare
il
male
in
esso
contenuto.
Il
che
equivale
a
rivelare
il
mistero
dell'iniquità.
Non
è
possibile
raggiungere
il
male
del
peccato
in
tutta
la
sua
dolorosa
realtà
senza
«scrutare
le
profondità
di
Dio».
Sin
dall'inizio
l'oscuro
mistero
del
peccato
è
apparso
nel
mondo
sullo
sfondo
del
riferimento
al
Creatore
della
libertà
umana.
Esso
è
apparso
come
un
atto
di
volontà
della
creatura-uomo
contrario
alla
volontà
di
Dio:
alla
volontà
salvifica
di
Dio;
anzi,
è
apparso
in
opposizione
alla
verità,
sulla
base
della
menzogna
ormai
definitivamente
«giudicata»:
menzogna
che
ha
posto
in
stato
di
accusa,
in
stato
di
permanente
sospetto,
lo
stesso
amore
creativo
e
salvifico.
L'uomo
ha
seguito
il «padre
della
menzogna»,
ponendosi
contro
il
Padre
della
vita
e lo
Spirito
di
verità.
Il «convincere
del
peccato»
non
dovrà,
dunque,
significare
anche
il
rivelare
la
sofferenza?
Rivelare
il
dolore
inconcepibile
ed
inesprimibile,
che,
a
causa
del
peccato,
il
Libro
sacro
nella
sua
visione
antropomorfica
sembra
intravvedere
nelle
«profondità
di
Dio»
e, in
un
certo
senso,
nel
cuore
stesso
dell'ineffabile
Trinità?
La
Chiesa
ispirandosi
alla
Rivelazione,
crede
e
professa
che
il
peccato
è
offesa
di
Dio.
Che
cosa
nell'imperscrutabile
intimità
del
Padre,
del
Verbo
e
dello
Spirito
Santo
corrisponde
a
questa
«offesa»,
a
questo
rifiuto
dello
Spirito
che
è
amore
e
dono?
La
concezione
di
Dio,
come
essere
necessariamente
perfettissimo,
esclude
certamente
da
Dio
ogni
dolore,
derivante
da
carenze
o
ferite;
ma
nelle
«profondità
di
Dio»
c'è
un
amore
di
Padre
che
dinanzi
al
peccato
dell'uomo,
secondo
il
linguaggio
biblico,
reagisce
fino
al
punto
di
dire:
«Sono
pentito
di
aver
fatto
l'uomo».
«Il
Signore
vide
che
la
malvagità
degli
uomini
era
grande
sulla
terra...
E il
Signore
si
pentì
di
aver
fatto
l'uomo
sulla
terra
e se
ne
addolorò
in
cuor
suo...
Il
Signore
disse:
"Sono
pentito
di
averli
fatti"».
Ma più
spesso
il
Libro
sacro
ci
parla
di un
Padre,
che
prova
compassione
per
l'uomo,
quasi
condividendo
il
suo
dolore.
In
definitiva,
questo
imperscrutabile
e
indicibile
«dolore»
di
padre
genererà
soprattutto
la
mirabile
economia
dell'amore
redentivo
in
Gesù
Cristo,
affinché,
per
mezzo
del
mistero
della
pietà,
nella
storia
dell'uomo
l'amore
possa
rivelarsi
più
forte
del
peccato.
Perché
prevalga
il «dono»!
Lo
Spirito
Santo,
che
secondo
le
parole
di
Gesù
«convince
del
peccato»,
è
l'amore
del
Padre
e del
Figlio
e,
come
tale,
è il
dono
trinitario
e, al
tempo
stesso,
l'eterna
fonte
di
ogni
elargizione
divina
al
creato.
Proprio
in
lui
possiamo
concepire
come
personificata
e
attuata
in
modo
trascendente
quella
misericordia,
che
la
tradizione
patristica
e
teologica,
sulla
linea
dell'Antico
e del
Nuovo
Testamento,
attribuisce
a
Dio.
Nell'uomo
la
misericordia
include
dolore
e
compassione
per
le
miserie
del
prossimo.
In
Dio
lo
Spirito-amore
traduce
la
considerazione
del
peccato
umano
in
una
nuova
elargizione
di
amore
salvifico.
Da
lui,
nell'unità
col
Padre
e col
Figlio
nasce
l'economia
della
salvezza,
che
riempie
la
storia
dell'uomo
con i
doni
della
redenzione.
Se il
peccato,
rifiutando
l'amore,
ha
generato
la «sofferenza»
dell'uomo
che
in
qualche
modo
si è
riversata
su
tutta
la
creazione,
lo
Spirito
Santo
entrerà
nella
sofferenza
umana
e
cosmica
con
una
nuova
elargizione
di
amore,
che
redimerà
il
mondo.
E
sulla
bocca
di
Gesù
Redentore,
nella
cui
umanità
si
invera
la «sofferenza»
di
Dio,
risuonerà
una
parola
in
cui
si
manifesta
l'eterno
amore,
pieno
di
misericordia:
«Misereor».
Così
da
parte
dello
Spirito
Santo
il «convincere
del
peccato»
diventa
un
manifestare
davanti
alla
creazione
«sottomessa
alla
caducità»
e,
soprattutto,
nel
profondo
delle
coscienze
umane,
come
il
peccato
viene
vinto
mediante
il
sacrificio
dell'Agnello
di
Dio,
il
quale
è
divenuto
«fino
alla
morte»
il
servo
obbediente
che,
riparando
alla
disobbedienza
dell'uomo,
opera
la
redenzione
del
mondo.
In
questo
modo
lo
Spirito
di
verità,
il
Paraclito,
«convince
del
peccato».
40.
Il
valore
redentivo
del
sacrificio
di
Cristo
è
espresso
con
parole
molto
significative
dall'autore
della
Lettera
agli
Ebrei,
il
quale,
dopo
aver
ricordato
i
sacrifici
dell'Antica
Alleanza,
in
cui
«il
sangue
dei
capri
e dei
vitelli...
purifica
nella
carne»,
soggiunge:
«Quanto
più
il
sangue
di
Cristo,
il
quale
con
uno
Spirito
eterno
offrì
se
stesso
senza
macchia
a
Dio,
purificherà
la
nostra
coscienza
dalle
opere
morte,
per
servire
il
Dio
vivente»?
Pur
consapevoli
di
altre
possibili
interpretazioni,
le
nostre
considerazioni
sulla
presenza
dello
Spirito
Santo
in
tutta
la
vita
di
Cristo
ci
portano
a
ravvisare
in
questo
testo
come
un
invito
a
riflettere
sulla
presenza
del
medesimo
Spirito
anche
nel
sacrificio
redentore
del
Verbo
Incarnato.
Riflettiamo
prima
sulle
parole
iniziali
che
trattano
di
questo
sacrificio
e, in
seguito,
separatamente,
sulla
«purificazione
della
coscienza»,
da
esso
operata.
È,
infatti,
un
sacrificio
offerto
«con
(=
per
opera
di)
uno
Spirito
eterno»,
il
quale
da
esso
«attinge»
la
forza
di «convincere
del
peccato»
in
ordine
alla
salvezza.
È lo
stesso
Spirito
Santo
che,
secondo
la
promessa
del
Cenacolo,
Gesù
Cristo
«porterà»
agli
apostoli
il
giorno
della
sua
risurrezione,
presentandosi
loro
con
le
ferite
della
crocifissione,
e che
«darà»
loro
«per
la
remissione
dei
peccati»:
«Ricevete
lo
Spirito
Santo;
a chi
rimetterete
i
peccati
saranno
rimessi».
Sappiamo
che
«Dio
consacrò
in
Spirito
Santo
e
potenza
Gesù
di
Nazareth»,
come
diceva
Simon
Pietro
nella
casa
del
centurione
Cornelio.
Conosciamo
il
mistero
pasquale
della
sua
«dipartita»,
secondo
il
Vangelo
di
Giovanni
Le
parole
della
lettera
agli
Ebrei
ora
ci
spiegano
in
quale
modo
Cristo
«offrì
se
stesso
senza
macchia
a Dio»
e
come
ciò
fece
«con
uno
Spirito
eterno».
Nel
sacrificio
del
Figlio
dell'uomo
lo
Spirito
Santo
è
presente
ed
agisce
così
come
agiva
nel
suo
concepimento,
nella
sua
venuta
al
mondo,
nella
sua
vita
nascosta
e nel
suo
ministero
pubblico.
Secondo
la
Lettera
agli
Ebrei,
sulla
via
della
sua
«dipartita»
attraverso
il
Getsemani
e il
Golgota,
lo
stesso
Cristo
Gesù
nella
propria
umanità
si è
aperto
totalmente
a
questa
azione
dello
Spirito-Paraclito,
che
dalla
sofferenza
fa
emergere
l'eterno
amore
salvifico.
Egli
è
stato,
dunque,
«esaudito
per
la
sua
pietà.
Pur
essendo
Figlio,
imparò
l'obbedienza
dalle
cose
che
patì».
In
questo
modo
tale
Lettera
dimostra
come
l'umanità,
sottomessa
al
peccato
nei
discendenti
del
primo
Adamo,
in
Gesù
Cristo
è
diventata
perfettamente
sottomessa
a Dio
ed a
lui
unita
e,
nello
stesso
tempo,
piena
di
misericordia
verso
gli
uomini.
Si ha
così
una
nuova
umanità,
che
in
Gesù
Cristo
mediante
la
sofferenza
della
Croce
è
ritornata
all'amore,
tradito
da
Adamo
col
peccato.
Essa
si è
ritrovata
nella
stessa
fonte
divina
dell'elargizione
originaria:
nello
Spirito,
che
«scruta
le
profondità
di
Dio»
ed è
amore
e
dono
egli
stesso.
Il
Figlio
di
Dio
Gesù
Cristo,
come
uomo,
nell'ardente
preghiera
della
sua
passione,
permise
allo
Spirito
Santo,
che
già
aveva
penetrato
fino
in
fondo
la
sua
umanità,
di
trasformarla
in un
sacrifcio
perfetto
mediante
l'atto
della
sua
morte,
come
vittima
di
amore
sulla
Croce.
Da
solo
egli
fece
questa
oblazione.
Come
unico
sacerdote,
«offrì
se
stesso
senza
macchia
a Dio».
Nella
sua
umanità
era
degno
di
divenire
un
tale
sacrificio,
poiché
egli
solo
era
«senza
macchia».
Ma
l'offrì
«con
uno
Spirito
eterno»:
il
che
vuol
dire
che
lo
Spirito
Santo
agì
in
modo
speciale
in
questa
assoluta
autodonazione
del
Figlio
dell'uomo,
per
trasformare
la
sofferenza
in
amore
redentivo.
41.
Nell'Antico
Testamento
più
volte
si
parla
del
«fuoco
dal
cielo»,
che
bruciava
le
oblazioni
presentate
dagli
uomini.
Per
analogia
si può
dire
che
lo
Spirito
Santo
è il
«fuoco
dal
cielo»,
che
opera
nel
profondo
del
mistero
della
Croce.
Provenendo
dal
Padre,
egli
indirizza
verso
il
Padre
il
sacrificio
del
Figlio,
introducendolo
nella
divina
realtà
della
comunione
trinitaria.
Se il
peccato
ha
generato
la
sofferenza,
ora
il
dolore
di
Dio
in
Cristo
crocifisso
acquista
per
mezzo
dello
Spirito
Santo
la
sua
piena
espressione
umana.
Si ha
così
un
paradossale
mistero
d'amore:
in
Cristo
soffre
un
Dio
rifiutato
dalla
propria
creatura:
«Non
credono
in
me!».
ma,
nello
stesso
tempo
dal
profondo
di
questa
sofferenza--e,
indirettamente,
dal
profondo
dello
stesso
peccato
«di
non
aver
creduto»
--lo
Spirito
trae
una
nuova
misura
del
dono
fatto
all'uomo
e
alla
creazione
fin
dall'inizio.
Nel
profondo
del
mistero
della
Croce
agisce
l'amore,
che
riporta
nuovamente
l'uomo
a
partecipare
alla
vita,
che
è in
Dio
stesso.
Lo
Spirito
Santo
come
amore
e
dono
discende,
in un
certo
senso,
nel
cuore
stesso
del
sacrifcio
che
viene
offerto
sulla
Croce.
Riferendoci
alla
tradizione
biblica,
possiamo
dire:
egli
consuma
questo
sacrifcio
col
fuoco
dell'amore,
che
unisce
il
Figlio
col
Padre
nella
comunione
trinitaria.
E
poiché
il
sacrificio
della
Croce
è un
atto
proprio
di
Cristo,
anche
in
questo
sacrificio
«egli
riceve
lo
Spirito
Santo».
Lo
riceve
in
modo
tale,
che
poi
egli--ed
egli
solo
con
Dio
Padre--può
«darlo»
agli
apostoli,
alla
Chiesa,
all'umanità.
Egli
solo
lo «manda»
dal
Padre.
Egli
solo
si
presenta
davanti
agli
apostoli
riuniti
nel
Cenacolo,
«alita
su di
loro»
e
dice:
«Ricevete
lo
Spirito
Santo;
a chi
rimetterete
i
peccati
saranno
rimessi»,
come
aveva
preannunciato
Giovanni
Battista:
«Egli
vi
battezzerà
nello
Spirito
Santo
e nel
fuoco».
Con
quelle
parole
di
Gesù
lo
Spirito
Santo
è
rivelato
ed
insieme
è
reso
presente
come
amore
che
opera
nel
profondo
del
mistero
pasquale,
come
fonte
della
potenza
salvifica
della
Croce
di
Cristo,
come
dono
della
vita
nuova
ed
eterna.
Questa
verità
sullo
Spirito
Santo
trova
quotidiana
espressione
nella
liturgia
romana,
quando
il
sacerdote,
prima
della
comunione,
pronuncia
quelle
significative
parole:
«Signore
Gesù
Cristo,
Figlio
del
Dio
vivo,
che
per
volontà
del
Padre
e con
l'opera
dello
Spirito
Santo
morendo
hai
dato
la
vita
al
mondo...».
E
nella
III
Preghiera
Eucaristica,
riferendosi
alla
stessa
economia
salvifica,
il
sacerdote
chiede
a Dio
che
lo
Spirito
Santo
«faccia
di
noi
un
sacrificio
perenne
a te
gradito».
5.
Il
sangue,
che
purifica
la
coscienza
42.
Abbiamo
detto
che,
al
culmine
del
mistero
pasquale,
lo
Spirito
Santo
è
definitivamente
rivelato
e
reso
presente
in un
mondo
nuovo.
Il
Cristo
risorto
dice
agli
apostoli:
«Ricevete
lo
Spirito
Santo».
Viene
in
questo
modo
rivelato
lo
Spirito
Santo,
perché
le
parole
di
Cristo
costituiscono
la
conferma
delle
promesse
e
degli
annunci
del
discorso
nel
Cenacolo.
E con
ciò
il
Paraclito
viene
anche
reso
presente
in un
modo
nuovo.
Egli,
in
realtà,
operava
sin
dall'inizio
nel
mistero
della
creazione
e
lungo
tutta
la
storia
dell'antica
Alleanza
di
Dio
con
l'uomo.
La
sua
azione
è
stata
pienamente
confermata
dalla
missione
del
Figlio
dell'uomo
come
Messia,
che
è
venuto
nella
potenza
dello
Spirito
Santo.
Al
culmine
della
missione
messianica
di
Gesù,
lo
Spirito
Santo
diventa
presente
nel
mistero
pasquale
in
tutta
la
sua
soggettività
divina:
come
colui
che
deve
ora
continuare
l'opera
salvifica,
radicata
nel
sacrificio
della
Croce.
Senza
dubbio
quest'opera
viene
affidata
da
Gesù
ad
uomini:
agli
apostoli,
alla
Chiesa.
Tuttavia,
in
questi
uomini
e per
mezzo
di
essi,
lo
Spirito
Santo
rimane
il
trascendente
soggetto
protagonista
della
realizzazione
di
tale
opera
nello
spirito
dell'uomo
e
nella
storia
del
mondo:
l'invisibile
e, al
tempo
stesso,
onnipresente
Paraclito!
Lo
Spirito
che
«soffia
dove
vuole».
Le
parole,
pronunciate
da
Cristo
risorto,
il
giorno
«primo
dopo
il
sabato»,
mettono
in
particolare
rilievo
la
presenza
del
Paraclito
consolatore,
come
di
colui
che
«convince
il
mondo
quanto
al
peccato,
alla
giustizia
e al
giudizio».
Infatti,
solo
in
questo
rapporto,
si
spiegano
le
parole
che
Gesù
pone
in
diretto
riferimento
col
«dono»
dello
Spirito
Santo
agli
apostoli.
Egli
dice:
«Ricevete
lo
Spirito
Santo;
a chi
rimetterete
i
peccati
saranno
rimessi,
e a
chi
non
li
rimetterete
resteranno
non
rimessi».
Gesù
conferisce
agli
apostoli
il
potere
di
rimettere
i
peccati,
perché
lo
trasmettano
ai
loro
successori
nella
Chiesa.
Tuttavia,
questo
potere,
concesso
ad
uomini,
presuppone
e
include
l'azione
salvifica
dello
Spirito
Santo.
Divenendo
«luce
dei
cuori»,
cioè
delle
coscienze,
lo
Spirito
Santo
«convince
del
peccato»,
ossia
fa
conoscere
all'uomo
il
suo
male
e,
nello
stesso
tempo
lo
orienta
verso
il
bene.
Grazie
alla
molteplicità
dei
suoi
doni,
per
cui
è
invocato
come
il «settiforme»,
ogni
genere
di
peccato
dell'uomo
può
essere
raggiunto
dalla
potenza
salvifica
di
Dio.
In
realtà--come
dice
san
Bonaventura--«in
virtù
dei
sette
doni
dello
Spirito
Santo
tutti
i
mali
sono
distrutti
e
sono
prodotti
tutti
i
beni».
Sotto
l'influsso
del
consolatore
si
compie,
dunque
quella
conversione
del
cuore
umano,
che
è
condizione
indispensabile
del
perdono
dei
peccati.
Senza
una
vera
conversione,
che
implica
una
interiore
contrizione
e
senza
un
sincero
e
fermo
proposito
di
cambiamento,
i
peccati
rimangono
«non
rimessi»,
come
dice
Gesù
e con
lui
la
Tradizione
dell'Antica
e
della
Nuova
Alleanza.
Infatti,
le
prime
parole
pronunciate
da
Gesù
all'inizio
del
suo
ministero,
secondo
il
Vangelo
di
Marco,
sono
queste:
«Convertitevi
e
credete
al
vangelo».
La
conferma
di
questa
esortazione
è il
«convincere
quanto
al
peccato»
che
lo
Spirito
Santo
intraprende
in
modo
nuovo
in
forza
della
redenzione,
operata
dal
sangue
del
Figlio
dell'uomo.
Perciò,
la
Lettera
agli
Ebrei
dice
che
questo
«sangue
purifica
la
coscienza».
Esso,
dunque,
per
così
dire,
apre
allo
Spirito
Santo
la
via
verso
l'intimo
dell'uomo,
cioè
il
santuario
delle
coscienze
umane.
43.
Il
Concilio
Vaticano
II ha
ricordato
l'insegnamento
cattolico
sulla
coscienza,
parlando
della
vocazione
dell'uomo
e, in
particolare,
della
dignità
della
persona
umana.
Proprio
la
coscienza
decide
in
modo
specifico
di
questa
dignità.
Essa,
infatti,
è «il
nucleo
più
segreto
e il
sacrario
dell'uomo,
dove
egli
è
solo
con
Dio,
la
cui
voce
risuona
nell'intimo».
Essa
chiaramente
«dice
alle
orecchie
del
cuore:
Fa'
questo,
fuggi
quest'altro».
Una
tale
capacità
di
comandare
il
bene
e di
proibire
il
male,
inserita
dal
Creatore
nell'uomo,
è la
principale
proprietà
del
soggetto
personale.
Ma,
al
tempo
stesso,
«nell'intimo
della
coscienza
l'uomo
scopre
una
legge
che
non
è
lui a
darsi,
ma
alla
quale
deve
invece
obbedire».
La
coscienza,
dunque,
non
è
una
fonte
autonoma
ed
esclusiva
per
decidere
ciò
che
è
buono
e ciò
che
è
cattivo;
invece,
in
essa
è
inscritto
profondamente
un
principio
di
obbedienza
nei
riguardi
della
norma
oggettiva,
che
fonda
e
condiziona
la
corrispondenza
delle
sue
decisioni
con i
comandi
e i
divieti
che
sono
alla
base
del
comportamento
umano,
come
traspare
fin
dalla
pagina
del
Libro
della
Genesi,
già
richiamato.
Proprio
in
questo
senso
la
coscienza
è l'«intimo
sacrario»,
in
cui
«risuona
la
voce
di
Dio».
Essa
è «la
voce
di
Dio»
persino
quando
l'uomo
riconosce
esclusivamente
in
essa
il
principio
dell'ordine
morale,
di
cui
umanamente
non
si può
dubitare,
anche
senza
un
diretto
riferimento
al
Creatore:
proprio
in
questo
riferimento
la
coscienza
trova
sempre
il
suo
fondamento
e la
sua
giustificazione.
L'evangelico
«convincere
quanto
al
peccato»
sotto
l'influsso
dello
Spirito
di
verità
non
può
realizzarsi
nell'uomo
per
altra
via
se
non
per
quella
della
coscienza.
Se la
coscienza
è
retta,
allora
serve
«per
risolvere
secondo
verità
i
problemi
morali,
che
sorgono
tanto
nella
vita
dei
singoli
quanto
in
quella
sociale»;
allora
«le
persone
e i
gruppi
sociali
si
allontanano
dal
cieco
arbitrio
e si
sforzano
di
conformarsi
alle
norme
oggettive
della
moralità».
Frutto
della
retta
coscienza
è,
prima
di
tutto,
il
chiamare
per
nome
il
bene
e il
male,
come
fa ad
esempio
la
stessa
Costituzione
pastorale:
«Tutto
ciò
che
è
contro
la
vita
stessa,
come
ogni
specie
di
omicidio,
il
genocidio
l'aborto,
l'eutanasia
e lo
stesso
suicidio
volontario;
tutto
ciò
che
viola
l'integrità
della
persona
umana,
come
le
mutilazioni,
le
torture
inflitte
al
corpo
e
alla
mente;
gli
sforzi
di
costrizione
psicologica.
tutto
ciò
che
offende
la
dignità
umana,
come
le
condizioni
di
vita
infraumana,
le
incarcerazioni
arbitrarie,
le
deportazioni,
la
schiavitù,
la
prostituzione,
il
mercato
delle
donne
e dei
giovani,
o
ancora
le
ignominiose
condizioni
di
lavoro,
con
le
quali
i
lavoratori
sono
trattati
come
semplici
strumenti
di
guadagno,
e non
come
persone
libere
e
responsabili»;
e,
dopo
aver
chiamato
per
nome
i
molteplici
peccati,
così
frequenti
e
diffusi
nel
nostro
tempo,
essa
aggiunge:
«Tutte
queste
cose
e
altre
simili
sono
certamente
vergognose
e,
mentre
corrompono
la
civiltà
umana,
inquinano
coloro
che
così
si
comportano
ben
più
di
quelli
che
le
subiscono;
e
offendono
al
massimo
l'onore
del
Creatore».
Chiamando
per
nome
i
peccati
che
più
disonorano
l'uomo,
e
dimostrando
che
essi
sono
un
male
morale
che
grava
negativamente
su
qualsiasi
bilancio
del
progresso
dell'umanità,
il
Concilio
insieme
descrive
tutto
ciò
come
una
tappa
«della
lotta
drammatica
tra
il
bene
e il
male,
tra
la
luce
e le
tenebre»,
che
caratterizza
«tutta
la
vita
umana,
sia
individuale
che
collettiva».
L'assemblea
del
Sinodo
dei
Vescovi
del
1983
sulla
riconciliazione
e la
penitenza
ha
precisato
ancor
meglio
il
significato
personale
e
sociale
del
peccato
dell'uomo.
44.
Ebbene,
nel
Cenacolo,
la
vigilia
della
sua
Passione,
e poi
la
sera
di
Pasqua,
Gesù
Cristo
si è
appellato
allo
Spirito
Santo
come
a
colui,
il
quale
testimonia
che
nella
storia
dell'umanità
perdura
il
peccato.
Tuttavia,
il
peccato
è
sottoposto
alla
potenza
salvifica
della
redenzione.
Il «convincere
il
mondo
del
peccato»
non
si
esaurisce
nel
fatto
che
esso
viene
chiamato
per
nome
e
identificato
per
quello
che
è su
tutta
la
scala
che
gli
è
propria.
Nel
convincere
il
mondo
del
peccato,
lo
Spirito
di
verità
s'incontra
con
la
voce
delle
coscienze
umane.
Su
questa
via
si
giunge
alla
dimostrazione
delle
radici
del
peccato,
che
sono
nell'intimo
dell'uomo,
come
mette
in
rilievo
la
stessa
Costituzione
pastorale:
«In
verità,
gli
squilibri
di
cui
soffre
il
mondo
contemporaneo
si
collegano
con
quello
squilibrio
più
fondamentale,
radicato
nel
cuore
dell'uomo.
È
nell'uomo
stesso
che
molti
elementi
si
contrastano
a
vicenda.
Da
una
parte,
infatti,
come
creatura
fa
l'esperienza
dei
suoi
molteplici
limiti;
dall'altra,
si
sente
illimitato
nelle
sue
aspirazioni
e
chiamato
ad
una
vita
superiore.
Sollecitato
da
molte
attrattive,
è
costretto
sempre
a
sceglierne
qualcuna
e a
rinunciare
alle
altre.
Inoltre,
debole
e
peccatore,
non
di
rado
fa
quello
che
non
vorrebbe
e non
fa
quello
che
vorrebbe».
Il
testo
conciliare
fa
qui
riferimento
alle
note
parole
di
san
Paolo.
Il «convincere
quanto
al
peccato»,
che
accompagna
la
coscienza
umana
in
ogni
approfondita
riflessione
su se
stessa,
porta
dunque
alla
scoperta
delle
sue
radici
nell'uomo,
come
anche
dei
condizionamenti
della
coscienza
stessa
nel
corso
della
storia.
Ritroviamo
in
questo
modo
quella
realtà
originaria
del
peccato,
della
quale
si è
già
parlato.
Lo
Spirito
Santo
«convince
quanto
al
peccato»
in
rapporto
al
mistero
dell'inizio,
indicando
il
fatto
che
l'uomo
è un
essere
creato
e,
dunque,
è in
una
totale
dipendenza
ontologica
ed
etica
dal
Creatore,
e
ricordando,
al
tempo
stesso,
l'ereditaria
peccaminosità
della
natura
umana.
Ma lo
Spirito
Santo
consolatore
«convince
del
peccato»
sempre
in
relazione
alla
Croce
di
Cristo.
In
questa
relazione
il
cristianesimo
respinge
ogni
«fatalità»
del
peccato.
È «una
dura
lotta
contro
le
potenze
delle
tenebre,
lotta
che,
cominciata
fin
dall'origine
del
mondo,
continuerà,
come
dice
il
Signore,
fino
all'ultimo
giorno»--insegna
il
Concilio.
«Ma
il
Signore
stesso
è
venuto
a
liberare
l'uomo
e a
dargli
forza».
L'uomo,
dunque,
lungi
dal
lasciarsi
«irretire»
nella
sua
condizione
di
peccato,
appoggiandosi
alla
voce
della
propria
coscienza,
«deve
combattere
senza
soste
per
aderire
al
bene,
né
può
conseguire
la
sua
unità
interiore
se
non a
prezzo
di
grandi
fatiche,
con
l'aiuto
della
grazia
di
Dio».
Il
Concilio
giustamente
vede
il
peccato
come
fattore
della
rottura,
che
grava
sia
sulla
vita
personale
che
su
quella
sociale
dell'uomo;
ma,
nello
stesso
tempo,
ricorda
instancabilmente
la
possibilità
della
vittoria.
45.
Lo
Spirito
di
verità,
che
«convince
il
mondo
del
peccato»,
s'incontra
con
quella
fatica
della
coscienza
umana,
di
cui i
testi
conciliari
parlano
in
modo
così
suggestivo.
Tale
fatica
della
coscienza
determina
anche
le
vie
delle
conversioni
umane:
il
voltare
le
spalle
al
peccato,
per
ricostruire
la
verità
e
l'amore
nel
cuore
stesso
dell'uomo.
Si sa
che
riconoscere
il
male
in se
stessi
a
volte
costa
molto.
Si sa
che
la
coscienza
non
solo
comanda
o
proibisce,
ma
giudica
alla
luce
degli
ordini
e
divieti
interiori.
Essa
é
anche
fonte
di
rimorsi:
l'uomo
soffre
interiormente
a
causa
del
male
commesso.
Non
è
questa
sofferenza
quasi
un'eco
lontana
di
quel
«pentimento
di
aver
creato
l'uomo»,
che
con
linguaggio
antropomorfico
il
Libro
sacro
attribuisce
a
Dio?
di
quella
«riprovazione»
che,
inscrivendosi
nel
«cuore»
della
Trinità,
in
forza
dell'eterno
amore
si
traduce
nel
dolore
della
Croce,
nell'obbedienza
di
Cristo
fino
alla
morte?
Quando
lo
Spirito
di
verità
consente
alla
coscienza
umana
di
partecipare
a
quel
dolore,
allora
la
sofferenza
della
coscienza
diventa
particolarmente
profonda,
ma
anche
particolarmente
salvifica.
Allora,
mediante
un
atto
di
contrizione
perfetta,
si
opera
l'autentica
conversione
del
cuore:
è
l'evangelica
«métanoia».
La
fatica
del
cuore
umano,
la
fatica
della
coscienza,
in
cui
si
compie
questa
«métanoia»,
o
conversione,
è il
riflesso
di
quel
processo
per
cui
la
riprovazione
viene
trasformata
in
amore
salvifico,
che
sa
soffrire.
Il
dispensatore
nascosto
di
questa
forza
salvatrice
è lo
Spirito
Santo:
egli,
che
viene
chiamato
dalla
Chiesa
«luce
delle
coscienze»,
penetra
e
riempie
«la
profondità
dei
cuori»
umani.
Mediante
una
tale
conversione
nello
Spirito
Santo,
l'uomo
si
apre
al
perdono,
alla
remissione
dei
peccati
E in
tutto
questo
mirabile
dinamismo
della
conversione-remissione,
si
conferma
la
verità
di ciò
che
scrive
sant'Agostino
sul
mistero
dell'uomo,
commentando
le
parole
del
Salmo:
«L'abisso
chiama
l'abisso».
Proprio
nei
riguardi
di
questa
«abissale
profondità»
dell'uomo
della
coscienza
umana,
si
compie
la
missione
del
Figlio
e
dello
Spirito
Santo.
Lo
Spirito
Santo
«viene»
in
forza
della
«dipartita»
di
Cristo
nel
mistero
pasquale:
viene
in
ogni
fatto
concreto
di
conversione-remissione,
in
forza
del
sacrificio
della
Croce:
in
esso,
infatti,
«il
sangue
di
Cristo...
purifica
le
coscienze
dalle
opere
morte,
per
servire
il
Dio
vivente».
Si
adempiono
così
di
continuo
le
parole
sullo
Spirito
Santo
come
«un
altro
consolatore»,
le
parole
rivolte
nel
Cenacolo
agli
apostoli
e
indirettamente
a
tutti:
«Voi
lo
conoscete,
perché
egli
dimora
presso
di
voi
sarà
in
voi».
6.
Il
peccato
contro
lo
Spirito
Santo
46.
Sullo
sfondo
di ciò
che
abbiamo
detto
finora,
diventano
più
comprensibili
alcune
altre
parole,
impressionanti
e
sconvolgenti,
di
Gesù.
Le
potremmo
chiamare
le
parole
del
«non-perdono».
Esse
ci
sono
riferite
dai
Sinottici
in
rapporto
ad un
particolare
peccato,
che
è
chiamato
«bestemmia
contro
lo
Spirito
Santo».
Eccole
come
sono
state
riferite
nella
triplice
loro
redazione.
Matteo:
«Qualunque
peccato
e
bestemmia
sarà
perdonata
agli
uomini,
ma la
bestemmia
contro
lo
Spirito
non
sarà
perdonata.
A
chiunque
parlerà
male
del
Figlio
dell'uomo
sarà
perdonato;
ma la
bestemmia
contro
lo
Spirito
non
gli
sarà
perdonata
né
in
questo
secolo,
né
in
quello
futuro».
Marco:
«Tutti
i
peccati
saranno
perdonati
ai
figli
degli
uomini,
e
anche
tutte
le
bestemmie
che
diranno,
ma
chi
avrà
bestemmiato
contro
lo
Spirito
Santo,
non
avrà
perdono
in
eterno:
sarà
reo
di
colpa
eterna».
Luca:
«Chiunque
parlerà
contro
il
Figlio
dell'uomo
gli
sarà
perdonato,
ma a
chi
bestemmierà
lo
Spirito
Santo
non
sarà
perdonato».
Perché
la
bestemmia
contro
lo
Spirito
Santo
è
imperdonabile?
Come
intendere
questa
bestemmia?
Risponde
san
Tommaso
d'Aquino
che
si
tratta
di un
peccato:
«irremissibile
secondo
la
sua
natura,
in
quanto
esclude
quegli
elementi,
grazie
ai
quali
avviene
la
remissione
dei
peccati».
Secondo
una
tale
esegesi
la «bestemmia»
non
consiste
propriamente
nell'offendere
con
le
parole
lo
Spirito
Santo;
consiste,
invece,
nel
rifiuto
di
accettare
la
salvezza
che
Dio
offre
all'uomo
mediante
lo
Spirito
Santo,
operante
in
virtù
del
sacrificio
della
Croce.
Se
l'uomo
rifiuta
quel
«convincere
quanto
al
peccato»,
che
proviene
dallo
Spirito
Santo
ed ha
carattere
salvifico,
egli
insieme
rifiuta
la «venuta»
del
consolatore--quella
«venuta»
che
si è
attuata
nel
mistero
pasquale,
in
unità
con
la
potenza
redentrice
del
sangue
di
Cristo:
il
sangue
che
«purifica
la
coscienza
dalle
opere
morte».
Sappiamo
che
frutto
di
una
tale
purificazione
è la
remissione
dei
peccati.
Pertanto,
chi
rifiuta
lo
Spirito
e il
sangue
rimane
nelle
«opere
morte»,
nel
peccato.
E la
bestemmia
contro
lo
Spirito
Santo
consiste
proprio
nel
rifiuto
radicale
di
accettare
questa
remissione,
di
cui
egli
è
l'intimo
dispensatore
e che
presuppone
la
reale
conversione,
da
lui
operata
nella
coscienza.
Se
Gesù
dice
che
la
bestemmia
contro
lo
Spirito
Santo
non
può
essere
rimessa
né
in
questa
vita
né
in
quella
futura,
è
perché
questa
«non-remissione»
è
legata,
come
a sua
causa,
alla
«non
penitenza»,
cioè
al
radicale
rifiuto
di
convertirsi.
Il
che
significa
il
rifiuto
di
raggiungere
le
fonti
della
redenzione,
le
quali,
tuttavia,
rimangono
«sempre»
aperte
nell'economia
della
salvezza,
in
cui
si
compie
la
missione
dello
Spirito
Santo.
Questi
ha
l'infinita
potenza
di
attingere
a
queste
fonti:
«Prenderà
del
mio»,
ha
detto
Gesù.
In
questo
modo
egli
completa
nelle
anime
umane
l'opera
della
redenzione,
compiuta
da
Cristo,
dispensandone
i
frutti.
Ora
la
bestemmia
contro
lo
Spirito
Santo
è il
peccato
commesso
dall'uomo,
che
rivendica
un
suo
presunto
«diritto»
di
perseverare
nel
male--in
qualsiasi
peccato--e
rifiuta
così
la
redenzione.
L'uomo
resta
chiuso
nel
peccato,
rendendo
da
parte
sua
impossibile
la
sua
conversione
e,
dunque,
anche
la
remissione
dei
peccati,
che
ritiene
non
essenziale
o non
importante
per
la
sua
vita.
È,
questa,
una
condizione
di
rovina
spirituale,
perché
la
bestemmia
contro
lo
Spirito
Santo
non
permette
all'uomo
di
uscire
dalla
sua
autoprigionia
e di
aprirsi
alle
fonti
divine
della
purificazione
delle
coscienze
e
della
remissione
dei
peccati.
47.
L'azione
dello
Spirito
di
verità,
che
tende
al
salvifico
«convincere
quanto
al
peccato»,
incontra
nell'uomo
che
si
trova
in
tale
condizione
una
resistenza
interiore,
quasi
un'impermeabilità
della
coscienza,
uno
stato
d'animo
che
si
direbbe
consolidato
in
ragione
di
una
libera
scelta:
è ciò
che
la
Sacra
Scrittura
di
solito
chiama
«durezza
di
cuore».
Nella
nostra
epoca
a
questo
atteggiamento
di
mente
e di
cuore
corrisponde
forse
la
perdita
del
senso
del
peccato,
alla
quale
dedica
molte
pagine
l'Esortazione
Apostolica
Reconciliatio
et
paenitentia.
Già
il
Papa
Pio
XII
aveva
affermato
che
«il
peccato
del
secolo
è la
perdita
del
senso
del
peccato»,
e
tale
perdita
va di
pari
passo
con
la «perdita
del
senso
di
Dio».
Nell'Esortazione
citata
leggiamo:
«In
realtà,
Dio
è la
radice
e il
fine
supremo
dell'uomo,
e
questi
porta
in sé
un
germe
divino.
Perciò,
è la
realtà
di
Dio
che
svela
e
illumina
il
mistero
dell'uomo.
È
vano,
quindi,
sperare
che
prenda
consistenza
un
senso
del
peccato
nei
confronti
dell'uomo
e dei
valori
umani,
se
manca
il
senso
dell'offesa
commessa
contro
Dio,
cioè
il
senso
vero
del
peccato».
La
Chiesa,
perciò,
non
cessa
di
implorare
da
Dio
la
grazia
che
non
venga
meno
la
rettitudine
nelle
coscienze
umane,
che
non
si
attenui
la
loro
sana
sensibilità
dinanzi
al
bene
e al
male.
Questa
rettitudine
e
sensibilità
sono
profondamente
legate
all'intima
azione
dello
Spirito
di
verità.
In
questa
luce
acquistano
particolare
eloquenza
le
esortazioni
dell'Apostolo:
«Non
spegnete
lo
Spirito».
«Non
vogliate
rattristare
lo
Spirito
Santo».
Soprattutto,
però,
la
Chiesa
non
cessa
di
implorare
con
sommo
fervore
che
non
aumenti
nel
mondo
quel
peccato
chiamato
dal
Vangelo
«bestemmia
contro
lo
Spirito
Santo»;
che
esso,
anzi,
retroceda
nelle
anime
degli
uomini--e
per
riflesso
negli
stessi
ambienti
e
nelle
varie
forme
della
società--,
cedendo
il
posto
all'apertura
delle
coscienze,
necessaria
per
l'azione
salvifica
dello
Spirito
Santo.
La
Chiesa
implora
che
il
pericoloso
peccato
contro
lo
Spirito
lasci
il
posto
ad
una
santa
disponibilità
ad
accettare
la
sua
missione
di
consolatore,
quando
egli
viene
per
«convincere
il
mondo
quanto
al
peccato,
alla
giustizia
e al
giudizio».
48.
Nel
suo
discorso
di
addio
Gesù
ha
unito
questi
tre
àmbiti
del
«convincere»
come
componenti
della
missione
del
Paraclito:
il
peccato,
la
giustizia
e il
giudizio.
Essi
segnano
lo
spazio
di
quel
mistero
della
pietà,
che
nella
storia
dell'uomo
si
oppone
al
peccato,
al
mistero
dell'iniquità.
Da un
lato,
come
si
esprime
sant'Agostino,
c'è
l'«amore
di sé
fino
al
disprezzo
di
Dio»;
dall'altro,
c'è
l'«amore
di
Dio
fino
al
disprezzo
di sé».
La
Chiesa
di
continuo
innalza
la
sua
preghiera
e
presta
il
suo
servizio,
perché
la
storia
delle
coscienze
e la
storia
delle
società
nella
grande
famiglia
umana
non
si
abbassino
verso
il
polo
del
peccato
col
rifiuto
dei
comandamenti
divini
«fino
al
disprezzo
di
Dio»,
ma
piuttosto
si
elevino
verso
l'amore,
in
cui
si
rivela
lo
Spirito
che dà
la
vita.
Coloro
che
si
lasciano
«convincere
quanto
al
peccato»
dallo
Spirito
Santo,
si
lasciano
anche
convincere
quanto
«alla
giustizia
e al
giudizio».
Lo
Spirito
di
verità,
che
aiuta
gli
uomini,
le
coscienze
umane,
a
conoscere
la
verità
del
peccato,
al
tempo
stesso
fa sì
che
conoscano
la
verità
di
quella
giustizia
che
entrò
nella
storia
dell'uomo
con
Gesù
Cristo.
In
questo
modo,
coloro
che
«convinti
del
peccato»
si
convertono
sotto
l'azione
del
consolatore,
vengono,
in un
certo
senso,
condotti
fuori
dall'orbita
del
«giudizio»:
di
quel
«giudizio»,
col
quale
«il
principe
di
questo
mondo
è
stato
giudicato».
La
conversione,
nella
profondità
del
suo
mistero
divino-umano,
significa
la
rottura
di
ogni
vincolo
col
quale
il
peccato
lega
l'uomo
nell'insieme
del
mistero
dell'iniquità.
Coloro
che
si
convertono,
dunque,
vengono
condotti
dallo
Spirito
Santo
fuori
dall'orbita
del
«giudizio»,
e
introdotti
in
quella
giustizia,
che
è in
Cristo
Gesù,
e vi
è
perché
la
riceve
dal
Padre,
come
un
riflesso
della
santità
trinitaria.
Questa
è la
giustizia
del
Vangelo
e
della
redenzione,
la
giustizia
del
Discorso
della
montagna
e
della
Croce,
che
opera
la
purificazione
della
coscienza
mediante
il
sangue
dell'Agnello.
È la
giustizia
che
il
Padre
rende
al
Figlio
ed a
tutti
coloro,
che
sono
uniti
a lui
nella
verità
e
nell'amore.
In
questa
giustizia
lo
Spirito
Santo,
Spirito
del
Padre
e del
Figlio,
che
«convince
il
mondo
quanto
al
peccato»,
si
rivela
e si
rende
presente
nell'uomo
come
Spirito
di
vita
eterna.
PARTE
III
LO
SPIRITO
CHE DÀ
LA
VITA
1.
Motivo
del
Giubileo
del
Duemila:
Cristo,
il
quale
fu
concepito
di
Spirito
Santo
49.
Allo
Spirito
Santo
si
volgono
il
pensiero
e il
cuore
della
Chiesa
in
questa
fine
del
ventesimo
secolo
e
nella
prospettiva
del
terzo
Millennio
dalla
venuta
di
Gesù
Cristo
nel
mondo,
mentre
guardiamo
verso
il
grande
Giubileo
con
cui
la
Chiesa
celebrerà
l'evento.
Tale
venuta,
infatti,
si
misura,
secondo
il
computo
del
tempo,
come
un
evento
che
appartiene
alla
storia
dell'uomo
sulla
terra.
La
misura
del
tempo
adoperata
comunemente
definisce
gli
anni,
i
secoli
e i
millenni
secondo
che
trascorrono
prima
o
dopo
la
nascita
di
Cristo.
Ma
bisogna
anche
tener
presente
che
questo
evento
significa
per
noi
cristiani,
secondo
l'Apostolo,
la «pienezza
del
tempo»,
perché
in
esso
la
storia
dell'uomo
è
stata
completamente
penetrata
dalla
«misura»
di
Dio
stesso:
una
trascendente
presenza
del
«nunc»
eterno.
«Colui
che
è
che
era e
che
viene».
colui
che
è «l'alfa
e
l'omega,
il
primo
e
l'ultimo,
il
principio
e la
fine».
«Dio,
infatti,
ha
tanto
amato
il
mondo
da
dare
il
suo
Figlio
unigenito,
perché
chiunque
crede
in
lui
non
muoia,
ma
abbia
la
vita
eterna».
«Quando
venne
la
pienezza
del
tempo,
Dio
mandò
il
suo
Figlio,
nato
da
donna...,
perché
ricevessimo
l'adozione
a
figli».
E
questa
incarnazione
del
Figlio-Verbo
è
avvenuta
per
opera
dello
Spirito
Santo.
I due
evangelisti,
ai
quali
dobbiamo
il
racconto
della
nascita
e
dell'infanzia
di
Gesù
di
Nazareth,
si
pronunciano
in
questa
questione
allo
stesso
modo.
Secondo
Luca
all'annunciazione
della
nascita
di
Gesù,
Maria
domanda
«Come
avverrà
questo?
Non
conosco
uomo»,
e
riceve
questa
risposta:
«Lo
Spirito
Santo
scenderà
su di
te,
su di
te
stenderà
la
sua
ombra
la
potenza
dell'Altissimo.
Colui
che
nascerà
sarà,
dunque,
santo
e
chiamato
Figlio
di
Dio».
Matteo
narra
direttamente:
«Ecco
come
avvenne
la
nascita
di
Gesù
Cristo:
sua
madre
Maria,
essendo
promessa
sposa
di
Giuseppe,
prima
che
andassero
a
vivere
insieme,
si
trovò
incinta
per
opera
dello
Spirito
Santo».
Turbato
da
questo
stato
di
cose,
Giuseppe
riceve
durante
il
sonno
la
seguente
spiegazione:
«Non
temere
di
prendere
con
te
Maria,
tua
sposa,
perché
quel
che
è
generato
in
lei
viene
dallo
Spirito
Santo.
Essa
partorirà
un
figlio,
e tu
lo
chiamerai
Gesù:
egli,
infatti,
salverà
il
suo
popolo
dai
suoi
peccati».
Perciò,
la
Chiesa
sin
dall'inizio
professa
il
mistero
dell'incarnazione,
questo
mistero-chiave
della
fede,
riferendosi
allo
Spirito
Santo.
Recita
il
Simbolo
Apostolico:
«Il
quale
fu
concepito
di
Spirito
Santo,
nacque
da
Maria
Vergine».
Non
diversamente
il
Simbolo
niceno-costantinopolitano
attesta:
«Per
opera
dello
Spirito
Santo
si è
incarnato
nel
seno
della
Vergine
Maria
e si
è
fatto
uomo».
«Per
opera
dello
Spirito
Santo»
si è
fatto
uomo
colui
che
la
Chiesa,
con
le
parole
dello
stesso
Simbolo,
confessa
essere
Figlio
consostanziale
al
Padre:
«Dio
da
Dio,
Luce
da
Luce,
Dio
vero
da
Dio
vero,
generato,
non
creato».
Si è
fatto
uomo
«incarnandosi
nel
seno
della
Vergine
Maria».
Ecco
che
cosa
si è
compiuto,
quando
«venne
la
pienezza
del
tempo».
50.
Il
grande
Giubileo,
conclusivo
del
secondo
Millennio,
al
quale
la
Chiesa
già
si
prepara,
ha
direttamente
un
profilo
cristologico:
si
tratta,
infatti,
di
celebrare
la
nascita
di
Gesù
Cristo.
Nello
stesso
tempo,
esso
ha un
profilo
pneumatologico,
poiché
il
mistero
dell'incarnazione
si è
compiuto
«per
opera
dello
Spirito
Santo».
L'ha
«operato»
quello
Spirito
che--consostanziale
al
Padre
e al
Figlio--è,
nell'assoluto
mistero
di
Dio
uno e
trino,
la
Persona-amore,
il
dono
increato,
che
è
fonte
eterna
di
ogni
elargizione
proveniente
da
Dio
nell'ordine
della
creazione,
il
principio
diretto
e, in
certo
senso,
il
soggetto
dell'autocomunicazione
di
Dio
nell'ordine
della
grazia.
Di
questa
elargizione,
di
questa
divina
autocomunicazione
il
mistero
dell'incarnazione
costituisce
il
culmine.
In
effetti,
la
concezione
e la
nascita
di
Gesù
Cristo
sono
la più
grande
opera
compiuta
dallo
Spirito
Santo
nella
storia
della
creazione
e
della
salvezza:
la
suprema
grazia--la
«grazia
dell'unione»,
fonte
di
ogni
altra
grazia
come
spiega
san
Tommaso.
A
questa
opera
si
riferisce
il
grande
Giubileo
e si
riferisce
anche--se
penetriamo
nel
suo
profondo--all'artefice
di
quest'opera,
alla
Persona
dello
Spirito
Santo.
Alla
«pienezza
del
tempo»
corrisponde,
infatti,
una
particolare
pienezza
dell'autocomunicazione
di
Dio
uno e
trino
nello
Spirito
Santo.
«Per
opera
dello
Spirito
Santo»
si
compie
il
mistero
dell'«unione
ipostatica»,
cioè
dell'unione
della
natura
divina
e
della
natura
umana
della
divinità
e
dell'umanità
nell'unica
Persona
del
Verbo-Figlio.
Quando
Maria,
al
momento
dell'annunciazione,
pronuncia
il
suo
«fiat»:
«Avvenga
di me
quello
che
hai
detto»,
ella
concepisce
in
modo
verginale
un
uomo,
il
Figlio
dell'uomo,
che
è il
Figlio
di
Dio.
Mediante
una
tale
«umanizzazione»
del
Verbo-Figlio,
l'autocomunicazione
di
Dio
raggiunge
la
sua
pienezza
definitiva
nella
storia
della
creazione
e
della
salvezza.
Questa
pienezza
acquista
una
particolare
densità
ed
eloquenza
espressiva
nel
testo
del
Vangelo
di
Giovanni:
«Il
Verbo
si
fece
carne».
L'incarnazione
di
Dio-Figlio
significa
l'assunzione
all'unità
con
Dio
non
solo
della
natura
umana,
ma in
essa,
in un
certo
senso,
di
tutto
ciò
che
è «carne»:
di
tutta
l'umanità,
di
tutto
il
mondo
visibile
e
materiale.
L'incarnazione,
dunque,
ha
anche
un
suo
significato
cosmico,
una
sua
cosmica
dimensione.
Il «generato
prima
di
ogni
creatura»,
incarnandosi
nell'umanità
individuale
di
Cristo,
si
unisce
in
qualche
modo
con
l'intera
realtà
dell'uomo,
il
quale
è
anche
«carne»
--e
in
essa
con
ogni
«carne»,
con
tutta
la
creazione.
51.
Tutto
ciò
si
compie
per
opera
dello
Spirito
Santo
e
dunque,
appartiene
al
contenuto
del
futuro
grande
Giubileo.
La
Chiesa
non
può
prepararsi
ad
esso
in
nessun
altro
modo,
se
non
nello
Spirito
Santo.
Ciò
che
«nella
pienezza
del
tempo»
si è
compiuto
per
opera
dello
Spirito
Santo,
solo
per
opera
sua
può
ora
emergere
dalla
memoria
della
Chiesa.
Per
opera
sua
può
rendersi
presente
nella
nuova
fase
della
storia
dell'uomo
sulla
terra:
l'anno
Duemila
dalla
nascita
di
Cristo.
Lo
Spirito
Santo,
che
con
la
sua
potenza
adombrò
il
corpo
verginale
di
Maria,
dando
in
lei
inizio
alla
maternità
divina,
nello
stesso
tempo
rese
il
suo
cuore
perfettamente
obbediente
nei
riguardi
di
quell'autocomunicazione
di
Dio,
che
superava
ogni
concetto
e
ogni
facoltà
dell'uomo.
«Beata
colei
che
ha
creduto!»:
così
viene
salutata
Maria
dalla
sua
parente
Elisabetta,
anche
lei
«piena
di
Spirito
Santo».
Nelle
parole
di
saluto
a
colei
che
«ha
creduto»
sembra
delinearsi
un
lontano
(ma,
in
effetti,
molto
vicino)
contrasto
nei
riguardi
di
tutti
coloro,
dei
quali
Cristo
dirà
che
«non
hanno
creduto».
Maria
è
entrata
nella
storia
della
salvezza
del
mondo
mediante
l'obbedienza
della
fede.
E la
fede,
nella
sua
più
profonda
essenza,
é
l'apertura
del
cuore
umano
davanti
al
dono:
davanti
all'autocomunicazione
di
Dio
nello
Spirito
Santo.
Scrive
san
Paolo:
«Il
Signore
è lo
Spirito,
e
dove
c'è
lo
Spirito
del
Signore,
c'è
libertà».
Quando
Dio
uno e
trino
si
apre
all'uomo
nello
Spirito
Santo,
questa
sua
«apertura»
rivela
ed
insieme
dona
alla
creatura-uomo
la
pienezza
della
libertà.
Tale
pienezza
si è
manifestata
in
modo
sublime
proprio
mediante
la
fede
di
Maria,
mediante
«l'obbedienza
della
fede»
davvero,
«beata
colei
che
ha
creduto!».
2.
Motivo
del
Giubileo:
si è
manifestata
la
grazia
52.
Nel
mistero
dell'incarnazione
l'opera
dello
Spirito,
«che
dà
la
vita»,
raggiunge
il
suo
vertice.
Non
è
possibile
dare
la
vita,
che
in
Dio
è in
modo
pieno,
che
facendo
di
essa
la
vita
di un
Uomo,
quale
è
Cristo
nella
sua
umanità
personalizzata
dal
Verbo
nell'unione
ipostatica.
E, al
tempo
stesso,
col
mistero
dell'incarnazione
si
apre
in
modo
nuovo
la
fonte
di
questa
vita
divina
nella
storia
dell'umanità:
lo
Spirito
Santo.
Il
Verbo,
«generato
prima
di
ogni
creatura»,
diventa
«il
primogenito
tra
molti
fratelli»
e così
diventa
anche
il
capo
del
corpo
che
è la
Chiesa,
la
quale
nascerà
sulla
Croce
e sarà
rivelata
il
giorno
della
Pentecoste--e
nella
Chiesa,
il
capo
dell'umanità:
degli
uomini
di
ogni
nazione,
di
ogni
razza,
di
ogni
paese
e
cultura,
di
ogni
lingua
e
continente,
tutti
chiamati
alla
salvezza.
«Il
Verbo
si
fece
carne,
(quel
Verbo
in
cui)
era
la
vita
e la
vita
era
la
luce
degli
uomini...
A
quanti
l'hanno
accolto
ha
dato
potere
di
diventare
figli
di
Dio».
Ma
tutto
ciò
si è
compiuto
ed
incessantemente
si
compie
«per
opera
dello
Spirito
Santo».
«Figli
di
Dio»,
infatti,
sono--come
insegna
l'Apostolo
-- «tutti
quelli
che
sono
guidati
dallo
Spirito
di
Dio».
La
figliolanza
dell'adozione
divina
nasce
negli
uomini
sulla
base
del
mistero
dell'incarnazione,
dunque
grazie
a
Cristo,
l'eterno
Figlio.
Ma la
nascita,
o
rinascita,
avviene
quando
Dio
Padre
«manda
nei
nostri
cuori
lo
Spirito
del
suo
Figlio».
Allora,
infatti,
«riceviamo
uno
spirito
da
figli
adottivi
per
mezzo
del
quale
gridiamo:
"Abbà,
Padre!"».
Pertanto,
quella
figliolanza
di
Dio
innestata
nell'anima
umana
con
la
grazia
santificante,
è
opera
dello
Spirito
Santo.
«Lo
Spirito
stesso
attesta
al
nostro
spirito
che
siamo
figli
di
Dio.
E se
siamo
figli,
siamo
anche
eredi:
eredi
di
Dio,
coeredi
di
Cristo».
La
grazia
santificante
è
nell'uomo
il
principio
e la
fonte
della
nuova
vita:
vita
divina,
soprannaturale.
L'elargizione
di
questa
nuova
vita
è
come
la
risposta
definitiva
di
Dio
alle
parole
del
Salmista,
nelle
quali
in
certo
modo
risuona
la
voce
di
tutte
le
creature:
«Se
mandi
il
tuo
Spirito
saranno
creati
e
rinnoverai
la
faccia
della
terra».
Colui
che
nel
mistero
della
creazione
dà
all'uomo
e al
cosmo
la
vita
nelle
sue
molteplici
forme
visibili
ed
invisibili,
egli
ancora
la
rinnova
mediante
il
mistero
dell'incarnazione.
La
creazione
viene
così
completata
dall'incarnazione
e
permeata
fin
da
quel
momento
dalle
forze
della
redenzione,
che
investono
l'umanità
e
tutto
il
creato.
Ce lo
dice
san
Paolo,
la
cui
visione
cosmico-teologica
sembra
riprendere
la
voce
dell'antico
Salmo:
la
creazione
«attende
con
impazienza
la
rivelazione
dei
figli
di
Dio»,
ossia
di
coloro
che
Dio,
avendoli
«da
sempre
conosciuti»,
ha
anche
«predestinati
ad
essere
conformi
all'immagine
del
Figlio
suo».
Si ha
così
una
soprannaturale
«adozione»
degli
uomini,
di
cui
è
origine
lo
Spirito
Santo,
amore
e
dono.
Come
tale
egli
viene
elargito
agli
uomini
E
nella
sovrabbondanza
del
dono
increato
ha
inizio,
nel
cuore
di
ogni
uomo,
quel
particolare
dono
creato,
mediante
il
quale
gli
uomini
«diventano
partecipi
della
natura
divina».
Così
la
vita
umana
viene
penetrata
per
partecipazione
dalla
vita
divina
ed
acquista
anch'essa
una
dimensione
divina,
soprannaturale.
Si ha
la
nuova
vita,
nella
quale,
come
partecipi
del
mistero
dell'incarnazione,
«gli
uomini
nello
Spirito
Santo
hanno
accesso
al
Padre».
Vi è,
dunque,
una
stretta
relazione
tra
lo
Spirito,
che dà
la
vita,
e la
grazia
santificante
e
quella
molteplice
vitalità
soprannaturale,
che
ne
deriva
nell'uomo:
tra
lo
Spirito
increato
e lo
spirito
umano
creato.
53.
Si può
dire
che
tutto
ciò
rientra
nell'ambito
del
grande
Giubileo,
sopra
menzionato.
Bisogna,
infatti,
oltrepassare
la
dimensione
storica
del
fatto,
considerato
nella
sua
superficie.
Bisogna
raggiungere,
nello
stesso
contenuto
cristologico
del
fatto,
la
dimensione
pneumatologica,
abbracciando
con
lo
sguardo
della
fede
i due
millenni
dell'azione
dello
Spirito
di
verità,
il
quale,
attraverso
i
secoli,
ha
attinto
dal
tesoro
della
redenzione
di
Cristo
dando
agli
uomini
la
nuova
vita,
operando
in
essi
l'adozione
nel
Figlio
unigenito,
santificandoli,
sicché
essi
possono
ripetere
con
san
Paolo:
«Abbiamo
ricevuto
lo
Spirito
di
Dio».
Ma,
seguendo
questo
motivo
del
Giubileo,
non
è
possibile
limitarsi
ai
duemila
anni
trascorsi
dalla
nascita
di
Cristo.
Bisogna
risalire
indietro,
abbracciare
tutta
l'azione
dello
Spirito
Santo
anche
prima
di
Cristo--sin
dal
principio,
in
tutto
il
mondo
e,
specialmente,
nell'economia
dell'Antica
Alleanza.
Questa
azione,
infatti,
in
ogni
luogo
e in
ogni
tempo,
anzi
in
ogni
uomo,
si è
svolta
secondo
l'eterno
piano
di
salvezza,
per
il
quale
essa
è
strettamente
unita
al
mistero
dell'incarnazione
e
della
redenzione,
che a
sua
volta
esercitò
il
suo
influsso
nei
credenti
in
Cristo
venturo.
Ciò
è
attestato
in
modo
particolare
nella
Lettera
agli
Efesini.
La
grazia,
pertanto,
porta
congiuntamente
in sé
una
caratteristica
cristologica
ed
insieme
pneumatologica,
che
si
verifica
soprattutto
in
coloro
che
espressamente
aderiscono
al
Cristo:
«In
lui
(in
Cristo)...
avete
ricevuto
il
suggello
dello
Spirito
Santo,
che
era
stato
promesso,
il
quale
è
caparra
della
nostra
eredità
in
attesa
della
completa
redenzione».
Ma,
sempre
nella
prospettiva
del
grande
Giubileo,
dobbiamo
anche
guardare
più
ampiamente
e
andare
«al
largo»,
sapendo
che
«il
vento
soffia
dove
vuole»,
secondo
l'immagine
usata
da
Gesù
nel
colloquio
con
Nicodemo.
Il
Concilio
Vaticano
II,
concentrato
soprattutto
sul
tema
della
Chiesa,
ci
ricorda
l'azione
dello
Spirito
Santo
anche
«al
di
fuori»
del
corpo
visibile
della
Chiesa.
Esso
parla
appunto
di «tutti
gli
uomini
di
buona
volontà,
nel
cui
cuore
opera
invisibilmente
la
grazia.
Cristo
infatti,
è
morto
per
tutti
e la
vocazione
ultima
dell'uomo
è
effettivamente
una
sola,
quella
divina;
perciò,
dobbiamo
ritenere
che
lo
Spirito
Santo
dia a
tutti,
nel
modo
che
Dio
conosce,
la
possibilità
di
essere
associati
al
mistero
pasquale».
54.
«Dio
è
spirito,
e
quelli
che
lo
adorano
devono
adorarlo
in
spirito
e
verità».
Queste
parole
Gesù
le ha
dette
in un
altro
suo
colloquio:
quello
con
la
Samaritana.
Il
grande
Giubileo,
che
si
celebrerà
al
termine
di
questo
Millennio
ed
all'inizio
di
quello
successivo,
deve
costituire
un
potente
appello
rivolto
a
tutti
coloro
che
«adorano
Dio
in
spirito
e
verità».
Deve
essere
per
tutti
una
speciale
occasione
per
meditare
il
mistero
di
Dio
uno e
trino,
il
quale
in se
stesso
è
completamente
trascendente
nei
riguardi
del
mondo,
specialmente
del
mondo
visibile:
è
infatti,
Spirito
assoluto,
«Dio
è
spirito»
ed
insieme,
in
modo
mirabile,
è
non
solo
vicino
a
questo
mondo,
ma vi
è
presente
e, in
certo
senso,
immanente,
lo
compenetra
e
vivifica
dall'interno.
Ciò
vale
in
modo
speciale
per
l'uomo:
Dio
è
nell'intimo
del
suo
essere,
come
pensiero,
coscienza,
cuore;
e
realtà
psicologica
e
ontologica,
considerando
la
quale
sant'Agostino
diceva
di
lui:
«È
più
intimo
del
mio
intimo».
Queste
parole
ci
aiutano
a
capir
meglio
quelle
rivolte
da
Gesù
alla
Samaritana:
«Dio
è
spirito».
Solo
lo
Spirito
può
essere
«più
intimo
del
mio
intimo»
sia
nell'essere,
sia
nell'esperienza
spirituale;
solo
lo
Spirito
può
essere
tanto
immanente
nell'uomo
e nel
mondo,
permanendo
inviolabile
e
immutabile
nella
sua
assoluta
trascendenza.
Ma in
modo
nuovo
e in
forma
visibile
la
presenza
divina
nel
mondo
e
nell'uomo
si è
manifestata
in
Gesù
Cristo.
In
lui
davvero
«è
apparsa
la
grazia».
L'amore
di
Dio
Padre,
dono,
grazia
infinita,
principio
di
vita,
è
divenuto
palese
in
Cristo,
e
nell'umanità
di
lui
si è
fatto
«parte»
dell'universo,
del
genere
umano,
della
storia.
Quell'«apparizione»
della
grazia
nella
storia
dell'uomo,
mediante
Gesù
Cristo,
si è
compiuta
per
opera
dello
Spirito
Santo,
che
è il
principio
di
ogni
azione
salvifica
di
Dio
nel
mondo:
egli,
«Dio
nascosto»,
che
come
amore
e
dono
«riempie
l'universo».
Tutta
la
vita
della
Chiesa,
quale
si
manifesterà
nel
grande
Giubileo,
significa
andare
incontro
al
Dio
nascosto:
incontro
allo
Spirito,
che dà
la
vita.
3.
Lo
Spirito
Santo
nel
dissidio
interno
dell'uomo:
la
carne
ha
desideri
contrari
allo
spirito,
e lo
spirito
ha
desideri
contrari
alla
carne.
55.
Purtroppo,
risulta
dalla
storia
della
salvezza
che
quel
farsi
vicino
e
presente
di
Dio
all'uomo
e al
mondo,
quella
mirabile
«condiscendenza»
dello
Spirito
incontra
nella
nostra
realtà
umana
resistenza
ed
opposizione.
Quanto
sono
eloquenti
da
questo
punto
di
vista
le
parole
profetiche
del
vegliardo
di
nome
Simeone,
il
quale
«mosso
dallo
Spirito»
si
recò
al
tempio
di
Gerusalemme,
per
annunciare
davanti
al
bambino
di
Betlemme
che
«egli
è
qui
per
la
rovina
e la
risurrezione
di
molti
in
Israele,
segno
di
contraddizione».
L'opposizione
a
Dio,
che
è
Spirito
invisibile,
nasce
in
una
certa
misura
già
sul
terreno
della
radicale
diversità
del
mondo
da
lui,
cioè
dalla
sua
«visibilità»
e «materialità»
in
rapporto
a lui
«invisibile»
e «assoluto
Spirito»;
dalla
sua
essenziale
e
inevitabile
imperfezione
in
rapporto
a
lui,
essere
perfettissimo.
Ma
l'opposizione
diventa
conflitto,
ribellione
sul
terreno
etico
per
quel
peccato
che
prende
possesso
del
cuore
umano,
nel
quale
«la
carne...
ha
desideri
contrari
allo
spirito,
e lo
spirito
ha
desideri
contrari
alla
carne».
Di
questo
peccato
lo
Spirito
Santo
deve
«convincere
il
mondo»,
come
abbiamo
detto.
San
Paolo
è
colui
che
in
modo
particolarmente
eloquente
descrive
la
tensione
e la
lotta,
che
agita
il
cuore
umano.
«Vi
dico
dunque--leggiamo
nella
Lettera
ai
Galati--:
camminate
secondo
lo
spirito,
e non
sarete
portati
a
soddisfare
i
desideri
della
carne;
la
carne,
infatti,
ha
desideri
contrari
allo
spirito,
e lo
spirito
ha
desideri
contrari
alla
carne;
queste
cose
si
oppongono
a
vicenda,
sicché
voi
non
fate
quello
che
vorreste».
Già
nell'uomo
come
essere
composto,
spirituale-corporale,
esiste
una
certa
tensione,
si
svolge
una
certa
lotta
di
tendenze
tra
lo «spirito»
e la
«carne».
Ma
essa
di
fatto
appartiene
all'eredità
del
peccato,
ne è
una
conseguenza
e,
nello
stesso
tempo,
una
conferma.
Essa
fa
parte
dell'esperienza
quotidiana.
Come
scrive
l'Apostolo:
«Del
resto,
le
opere
della
carne
sono
ben
note:
fornicazione,
impurità,
libertinaggio,
ubriachezze,
orge
e
cose
del
genere».
Sono
i
peccati
che
si
potrebbero
definire
«carnali».
Ma
l'Apostolo
ne
aggiunge
anche
altri:
«Inimicizie,
discordia,
gelosia,
dissensi,
divisioni,
fazioni,
invidie».
Tutto
questo
costituisce
«le
opere
della
carne».
Ma a
queste
opere,
che
sono
indubbiamente
cattive,
Paolo
contrappone
«il
frutto
dello
Spirito»,
come
«amore,
gioia,
pace,
pazienza,
benevolenza,
bontà,
fedeltà,
mitezza,
dominio
di sé».
Dal
contesto
risulta
chiaro
che
per
l'Apostolo
non
si
tratta
di
discriminare
e di
condannare
il
corpo,
che
con
l'anima
spirituale
costituisce
la
natura
dell'uomo
e la
sua
soggettività
personale;
egli
tratta,
invece,
delle
opere,
o
meglio
delle
stabili
disposizioni--virtù
e
vizi--moralmente
buone
o
cattive,
che
sono
frutto
di
sottomissione
(nel
primo
caso)
oppure
di
resistenza
(nel
secondo)
all'azione
salvifca
dello
Spirito
Santo.
Perciò,
l'Apostolo
scrive:
«Se
pertanto
viviamo
dello
spirito,
camminiamo
anche
secondo
lo
spirito».
E in
altri
passi:
«Coloro
infatti
che
vivono
secondo
la
carne,
pensano
alle
cose
della
carne;
quelli,
invece,
che
vivono
secondo
lo
spirito,
alle
cose
dello
spirito»;
«Viviamo,
infatti,
sotto
il
dominio
dello
spirito,
dal
momento
che
lo
Spirito
di
Dio
abita
in
noi».
La
contrapposizione
che
san
Paolo
stabilisce
tra
la
vita
«secondo
lo
spirito»
e la
vita
«secondo
la
carne»,
genera
un'ulteriore
contrapposizione:
quella
della
«vita»
e
della
«morte».
«I
desideri
della
carne
portano
alla
morte,
mentre
i
desideri
dello
spirito
portano
alla
vita
e
alla
pace»;
di
qui
l'ammonimento:
«Se
vivete
secondo
la
carne,
voi
morirete;
se,
invece,
con
l'aiuto
dello
Spirito
fate
morire
le
opere
del
corpo,
voi
vivrete».
A ben
considerare,
questa
è
un'esortazione
a
vivere
nella
verità,
cioè
secondo
i
dettami
della
retta
coscienza
e,
nello
stesso
tempo,
è
una
professione
di
fede
nello
Spirito
di
verità,
come
in
colui
che dà
la
vita.
Il
corpo,
infatti,
«è
morto
a
causa
del
peccato,
ma lo
spirito
è
vita
a
causa
della
giustificazione»;
«Così
dunque...
siamo
debitori,
ma
non
verso
la
carne
per
vivere
secondo
la
carne».
Siamo
piuttosto
debitori
a
Cristo,
che
nel
mistero
pasquale
ha
operato
la
nostra
giustificazione,
ottenendo
a noi
lo
Spirito
Santo:
«Infatti,
siamo
stati
comprati
a
caro
prezzo».
Nei
testi
di
san
Paolo
si
sovrappongono--e
reciprocamente
si
compenetrano--la
dimensione
ontologica
(la
carne
e lo
spirito),
quella
etica
(il
bene
e il
male
morale),
quella
pneumatologica
(l'azione
dello
Spirito
Santo
nell'ordine
della
grazia).
Le
sue
parole
(specialmente
nelle
Lettere
ai
Romani
e ai
Galati
ci
fanno
conoscere
e
sentire
al
vivo
la
grandezza
di
quella
tensione
e
lotta,
che
si
svolge
nell'uomo
tra
l'apertura
verso
l'azione
dello
Spirito
Santo
e la
resistenza
e
l'opposizione
a
lui,
al
suo
dono
salvifìco.
I
termini
o
poli
contrapposti
sono,
da
parte
dell'uomo,
la
sua
limitatezza
e
peccaminosità,
punti
nevralgici
della
sua
realtà
psicologica
ed
etica;
e, da
parte
di
Dio,
il
mistero
del
dono,
quell'incessante
donarsi
della
vita
divina
nello
Spirito
Santo.
Di
chi
sarà
la
vittoria?
Di
chi
avrà
saputo
accogliere
il
dono.
56.
Purtroppo,
la
resistenza
allo
Spirito
Santo,
che
san
Paolo
sottolinea
nella
dimensione
interiore
e
soggettiva
come
tensione,
lotta,
ribellione
che
avviene
nel
cuore
umano,
trova
nelle
varie
epoche
della
storia
e,
specialmente,
nell'epoca
moderna
la
sua
dimensione
esteriore,
concretizzandosi
come
contenuto
della
cultura
e
della
civiltà,
come
sistema
filosofico,
come
ideologia,
come
programma
di
azione
e di
formazione
dei
comportamenti
umani.
Essa
trova
la
sua
massima
espressione
nel
materialismo,
sia
nella
sua
forma
teorica--come
sistema
di
pensiero,
sia
nella
sua
forma
pratica--come
metodo
di
lettura
e di
valutazione
dei
fatti
e
come
programma,
altresì,
di
condotta
corrispondente.
Il
sistema
che
ha
dato
il
massimo
sviluppo
e ha
portato
alle
estreme
conseguenze
operative
questa
forma
di
pensiero,
di
ideologia
e di
prassi,
è il
materialismo
dialettico
e
storico,
riconosciuto
tuttora
come
sostanza
vitale
del
marxismo.
In
linea
di
principio
e di
fatto
il
materialismo
esclude
radicalmente
la
presenza
e
l'azione
di
Dio,
che
è
spirito
nel
mondo
e,
soprattutto,
nell'uomo
per
la
fondamentale
ragione
che
non
accetta
la
sua
esistenza,
essendo
un
sistema
essenzialmente
e
programmaticamente
ateo.
È il
fenomeno
impressionante
del
nostro
tempo,
al
quale
il
Concilio
Vaticano
II ha
dedicato
alcune
pagine
significative:
l'ateismo.
Anche
se
non
si può
parlare
dell'ateismo
in
modo
univoco
né
si può
ridurlo
esclusivamente
alla
filosofia
materialistica,
dato
che
esistono
varie
specie
di
ateismo
e
forse
si può
dire
che
spesso
si
usa
tale
parola
in
senso
equivoco,
tuttavia
è
certo
che
un
vero
e
proprio
materialismo,
inteso
come
teoria
che
spiega
la
realtà
e
assunto
come
principio-chiave
dell'azione
personale
e
sociale,
ha
carattere
ateo.
L'orizzonte
dei
valori
e dei
fini
dell'agire,
che
esso
delinea,
è
strettamente
legato
all'interpretazione
come
«materia»
di
tutta
la
realtà.
Se
esso
parla
a
volte
anche
dello
«spirito
e
delle
questioni
dello
spirito»,
per
esempio
nel
campo
della
cultura
o
della
morale,
ciò
fa
soltanto
in
quanto
considera
certi
fatti
come
derivati
(epifenomeni)
dalla
materia,
la
quale
secondo
questo
sistema
è
l'unica
ed
esclusiva
forma
dell'essere.
Ne
consegue
che,
secondo
tale
interpretazione,
la
religione
può
essere
intesa
solamente
come
una
specie
di «illusione
idealistica»,
da
combattere
nei
modi
e con
i
metodi
più
opportuni
secondo
i
luoghi
e le
circostanze
storiche,
per
eliminarla
dalla
società
e dal
cuore
stesso
dell'uomo.
Si può
dire,
pertanto,
che
il
materialismo
è lo
sviluppo
sistematico
e
coerente
di
quella
«resistenza»
e
opposizione,
denunciate
da
san
Paolo
con
le
parole:
«La
carne
ha
desideri
contrari
allo
spirito».
Questa
conflittualità
è,
però,
reciproca,
come
mette
in
rilievo
l'Apostolo
nella
seconda
parte
del
suo
aforisma:
«Lo
spirito
ha
desideri
contrari
alla
carne».
Chi
vuole
vivere
secondo
lo
Spirito
nell'accettazione
e
nella
corrispondenza
alla
sua
azione
salvifica,
non
può
non
respingere
le
tendenze
e le
pretese,
interne
ed
esterne,
della
«carne»,
anche
nella
sua
espressione
ideologica
e
storica
di «materialismo»
antireligioso.
Su
questo
sfondo
così
caratteristico
del
nostro
tempo
si
devono
sottolineare
i «desideri
dello
spirito»
nei
preparativi
al
grande
Giubileo,
come
richiami
che
risuonano
nella
notte
di un
nuovo
tempo
di
avvento,
in
fondo
al
quale,
come
duemila
anni
fa,
«ogni
uomo
vedrà
la
salvezza
di
Dio».
Questa
è
una
possibilità
e una
speranza,
che
la
Chiesa
affida
agli
uomini
di
oggi.
Essa
sa
che
l'incontro-scontro,
tra i
«desideri
contrari
allo
spirito»,
che
caratterizano
tanti
aspetti
della
civiltà
contemporanea,
specialmente
in
alcuni
suoi
àmbiti,
e i
«desideri
contrari
alla
carne»,
con
l'avvicinarsi
di
Dio,
con
la
sua
incarnazione,
con
la
sua
sempre
nuova
comunicazione
nello
Spirito
Santo,
può
presentare
in
molti
casi
un
carattere
drammatico
e
forse
risolversi
in
nuove
sconfitte
umane.
Ma
essa
crede
fermamente
che,
da
parte
di
Dio,
è
sempre
un
comunicarsi
salvifico,
una
venuta
salvifica
e,
semmai,
un
salvifico
«convincere
del
peccato»
ad
opera
dello
Spirito.
57.
Nella
contrapposizione
paolina
dello
«spirito»
e
della
«carne»
è
inscritta
anche
la
contrapposizione
della
«vita»
e
della
«morte».
Grave
problema,
questo,
circa
il
quale
bisogna
dire
subito
che
il
materialismo,
come
sistema
di
pensiero,
in
ogni
sua
versione,
significa
l'accettazione
della
morte
quale
definitivo
termine
dell'esistenza
umana.
Tutto
ciò
che
è
materiale,
è
corruttibile
e,
perciò,
il
corpo
umano
(in
quanto
«animale»)
è
mortale.
Se
l'uomo
nella
sua
essenza
è
solo
«carne»,
la
morte
rimane
per
lui
un
confine
e un
termine
invalicabile.
Allora
si
capisce
come
si
possa
dire
che
la
vita
umana
è
esclusivamente
un «esistere
per
morire».
Bisogna
aggiungere
che
sull'orizzonte
della
civiltà
contemporanea--specialmente
di
quella
più
sviluppata
in
senso
tecnico-scientifico--i
segni
e i
segnali
di
morte
sono
diventati
particolarmente
presenti
e
frequenti.
Basti
pensare
alla
corsa
agli
armamenti
e al
pericolo,
in
essa
insito,
di
un'autodistruzione
nucleare.
D'altra
parte,
si è
rivelata
sempre
più
a
tutti
la
grave
situazione
di
vaste
regioni
del
nostro
pianeta,
segnate
dall'indigenza
e
dalla
fame
apportatrici
di
morte.
Si
tratta
di
problemi
che
non
sono
solo
economici,
ma
anche
e
prima
di
tutto
etici.
Senonché,
sull'orizzonte
della
nostra
epoca
si
addensano
«segni
di
morte»
anche
più
cupi:
si è
diffuso
il
costume
--che
in
alcuni
luoghi
rischia
di
diventare
quasi
un'istituzione--di
togliere
la
vita
agli
esseri
umani
prima
ancora
della
loro
nascita,
o
anche
prima
che
siano
arrivati
al
naturale
traguardo
della
morte.
E
ancora:
nonostante
tanti
nobili
sforzi
in
favore
della
pace,
sono
scoppiate
e
sono
in
corso
nuove
guerre,
che
privano
della
vita
o
della
salute
centinaia
di
migliaia
di
uomini.
E
come
non
ricordare
gli
attentati
alla
vita
umana
da
parte
del
terrorismo,
organizzato
anche
su
scala
internazionale?
Purtroppo,
questo
è
solo
un
abbozzo
parziale
ed
incompleto
del
quadro
di
morte
che
si
sta
componendo
nella
nostra
epoca,
mentre
ci
avviciniamo
sempre
di più
alla
fine
del
secondo
Millennio
cristiano.
Dalle
tinte
fosche
della
civiltà
materialistica
e, in
particolare,
da
quei
segni
di
morte
che
si
moltiplicano
nel
quadro
sociologico-Storico,
in
cui
essa
si è
attuata,
non
sale
forse
una
nuova
invocazione,
più
o
meno
consapevole,
allo
Spirito
che dà
la
vita?
In
ogni
caso,
anche
indipendentemente
dall'ampiezza
delle
speranze
o
delle
disperazioni
umane,
come
delle
illusioni
o
degli
inganni,
derivanti
dallo
sviluppo
dei
sistemi
materialistici
di
pensiero
e di
vita,
rimane
la
certezza
cristiana
che
lo
Spirito
soffia
dove
vuole
e che
noi
possediamo
«le
primizie
dello
Spirito»,
e che
perciò,
possiamo
anche
essere
soggetti
alle
sofferenze
dei
tempo
che
passa,
ma «gemiamo
interiormente
aspettando...
la
redenzione
del
nostro
corpo»,
ossia
di
tutto
il
nostro
essere
umano,
corporeo
e
spirituale.
Gemiamo,
sì,
ma in
un'attesa
carica
di
indefettibile
speranza,
perché
proprio
a
questo
essere
umano
si è
avvicinato
Dio,
che
è
Spirito.
Dio
Padre
ha
mandato
«il
proprio
Figlio
in
una
carne
simile
a
quella
del
peccato
e, in
vista
del
peccato,
ha
condannato
il
peccato».
Al
culmine
del
mistero
pasquale,
il
Figlio
di
Dio,
fatto
uomo
e
crocifisso
per i
peccati
del
mondo,
si è
presentato
in
mezzo
ai
suoi
apostoli
dopo
la
risurrezione,
ha
alitato
su di
loro
e ha
detto:
«Ricevete
lo
Spirito
Santo».
Questo
«soffio»
continua
sempre.
Ed
ecco,
«lo
Spirito
viene
in
aiuto
alla
nostra
debolezza».
4.
Lo
Spirito
Santo
nel
rafforzamento
dell'«uomo
interiore»
58.
Il
mistero
della
Risurrezione
e
della
Pentecoste
è
annunciato
e
vissuto
dalla
Chiesa,
che
è
l'erede
e la
continuatrice
della
testimonianza
degli
apostoli
circa
la
risurrezione
di
Gesù
Cristo.
Essa
è la
testimone
perenne
di
questa
vittoria
sulla
morte,
che
ha
rivelato
la
potenza
dello
Spirito
Santo
e ha
determinato
la
sua
nuova
venuta,
la
sua
nuova
presenza
negli
uomini
e nel
mondo.
Infatti
nella
risurrezione
di
Cristo
lo
Spirito
Santo
Paraclito
si è
rivelato
soprattutto
come
colui
che dà
la
vita:
«Colui
che
ha
risuscitato
Cristo
dai
morti
darà
la
vita
anche
ai
vostri
corpi
mortali
per
mezzo
del
suo
Spirito,
che
abita
in
voi».
Nel
nome
della
risurrezione
di
Cristo
la
Chiesa
annuncia
la
vita,
che
si è
manifestata
oltre
il
limite
della
morte,
la
vita
che
è più
forte
della
morte.
Al
tempo
stesso,
essa
annuncia
colui
che dà
questa
vita:
lo
Spirito
vivificatore;
lo
annuncia
e con
lui
coopera
nel
dare
la
vita.
Infatti,
se «il
corpo
è
morto
a
causa
del
peccato...,
lo
spirito
è
vita
a
causa
della
giustificazione»,
operata
da
Cristo
crocifisso
e
risorto.
E in
nome
della
risurrezione
di
Cristo
la
Chiesa
serve
la
vita
che
proviene
da
Dio
stesso,
in
stretta
unione
ed in
umile
servizio
allo
Spirito.
Proprio
per
questo
servizio
l'uomo
diventa
in
modo
sempre
nuovo
la «via
della
Chiesa»,
come
ho già
detto
nell'Enciclica
su
Cristo
Redentore
ed
ora
ripeto
in
questa
sullo
Spirito
Santo.
Unita
con
lo
Spirito,
la
Chiesa
è
consapevole
più
di
ogni
altro
della
realtà
dell'uomo
interiore,
di ciò
che
nell'uomo
è più
profondo
ed
essenziale,
perché
spirituale
ed
incorruttibile.
A
questo
livello
lo
Spirito
innesta
la «radice
dell'immortalità»,
dalla
quale
spunta
la
nuova
vita:
cioè,
la
vita
dell'uomo
in
Dio,
che,
come
frutto
della
sua
autocomunicazione
salvifica
nello
Spirito
Santo,
può
svilupparsi
e
consolidarsi
solo
sotto
l'azione
di
costui.
Perciò,
l'Apostolo
si
rivolge
a Dio
in
favore
dei
credenti,
ai
quali
dichiara:
«Piego
le
ginocchia
davanti
al
Padre...,
perché
vi
conceda...
di
essere
potentemente
rafforzati
dal
suo
Spirito
nell'uomo
interiore».
Sotto
l'influsso
dello
Spirito
Santo
matura
e si
rafforza
quest'uomo
interiore,
cioè
«spirituale».
Grazie
alla
divina
comunicazione
lo
spirito
umano,
che
«conosce
i
segreti
dell'uomo»,
si
incontra
con
lo «Spirito
che
scruta
le
profondità
di
Dio».
In
questo
Spirito,
che
è il
dono
eterno,
Dio
uno e
trino
si
apre
all'uomo,
allo
spirito
umano.
Il
soffio
nascosto
dello
Spirito
divino
fa sì
che
lo
spirito
umano
si
apra,
a sua
volta,
davanti
all'aprirsi
salvifico
e
santificante
di
Dio.
Per
il
dono
della
grazia,
che
viene
dallo
Spirito,
l'uomo
entra
in «una
vita
nuova»,
viene
introdotto
nella
realtà
soprannaturale
della
stessa
vita
divina
e
diventa
«dimora
dello
Spirito
Santo»,
«tempio
vivente
di
Dio».
Per
lo
Spirito
Santo,
infatti,
il
Padre
e il
Figlio
vengono
a lui
e
prendono
dimora
presso
di
lui.
Nella
comunione
di
grazia
con
la
Trinità
si
dilata
l'«area
vitale»
dell'uomo,
elevata
al
livello
soprannaturale
della
vita
divina.
L'uomo
vive
in
Dio e
di
Dio:
vive
«secondo
lo
Spirito»
e «pensa
alle
cose
dello
Spirito».
59.
L'intima
relazione
con
Dio
nello
Spirito
Santo
fa sì
che
l'uomo
comprenda
in
modo
nuovo
anche
se
stesso
la
propria
umanità.
Viene
così
realizzata
pienamente
quell'immagine
e
somiglianza
di
Dio,
che
è
l'uomo
sin
dall'inizio.
Tale
intima
verità
dell'essere
umano
deve
essere
di
continuo
riscoperta
alla
luce
di
Cristo,
che
è il
prototipo
del
rapporto
con
Dio,
e, in
lui,
deve
essere
anche
riscoperta
la
ragione
del
«ritrovarsi
pienamente
attraverso
un
dono
sincero
di sé»
con
gli
altri
uomini,
come
scrive
il
Concilio
Vaticano
II:
proprio
in
ragione
della
somiglianza
divina
che
«manifesta
che
nella
terra
l'uomo...
è
l'unica
creatura
che
Dio
abbia
voluto
per
se
stessa»,
nella
sua
dignità
di
persona,
ma
aperta
all'integrazione
e
alla
comunione
sociale.
La
conoscenza
efficace
e
l'attuazione
piena
di
questa
verità
dell'essere
avvengono
solo
per
opera
dello
Spirito
Santo.
L'uomo
impara
questa
verità
da
Gesù
Cristo
e la
attua
nella
propria
vita
per
opera
dello
Spirito,
che
egli
stesso
ci ha
dato.
Su
questa
via--sulla
via
di
una
tale
maturazione
interiore,
che
include
la
piena
scoperta
del
senso
dell'umanità--Dio
si fa
intimo
all'uomo,
penetra
sempre
più
a
fondo
in
tutto
il
mondo
umano.
Dio
uno e
trino,
che
in se
stesso
«esiste»
come
trascendente
realtà
di
dono
interpersonale,
comunicandosi
nello
Spirito
Santo
come
dono
all'uomo,
trasforma
il
mondo
umano
dal
di
dentro,
dall'interno
dei
cuori
e
delle
coscienze.
Su
questa
via
il
mondo,
reso
partecipe
del
dono
divino,
diventa--come
insegna
il
Concilio--«sempre
più
umano,
sempre
più
profondamente
umano»,
mentre
in
esso
matura,
mediante
i
cuori
e le
coscienze
degli
uomini,
il
Regno
in
cui
Dio
sarà
definitivamente
«tutto
in
tutti»:
come
dono
e
amore.
Dono
e
amore:
è
questa
l'eterna
potenza
dell'aprirsi
di
Dio
uno e
trino
all'uomo
e al
mondo,
nello
Spirito
Santo.
Nella
prospettiva
dell'anno
Duemila
dalla
nascita
di
Cristo
si
tratta
di
ottenere
che
un
numero
sempre
più
grande
di
uomini
«possa
ritrovarsi
pienamente...
attraverso
un
dono
sincero
di sé»,
secondo
la
citata
espressione
del
Concilio.
Che
sotto
l'azione
dello
Spirito
Paraclito
si
realizzi
nel
nostro
mondo
quel
processo
di
vera
maturazione
nell'umanità,
nella
vita
individuale
e in
quella
comunitaria,
in
ordine
al
quale
Gesù
stesso,
«quando
prega
il
Padre
perché
"tutti
siano
una
cosa
sola,
come
io e
te
siamo
una
cosa
sola"
(Gv17,21),
ci ha
suggerito
una
certa
similitudine
tra
l'unione
delle
Persone
divine
e
l'unione
dei
figli
di
Dio
nella
verità
e
nella
carità».
Il
Concilio
ribadisce
tale
verità
sull'uomo,
e la
Chiesa
vede
in
essa
un'indicazione
particolarmente
forte
e
determinante
dei
propri
compiti
apostolici.
Se,
infatti,
l'uomo
è la
via
della
Chiesa,
questa
via
passa
attraverso
tutto
il
mistero
di
Cristo,
come
divino
modello
dell'uomo.
Su
questa
via
lo
Spirito
Santo,
rafforzando
in
ciascuno
di
noi
«l'uomo
interiore»,
fa sì
che
l'uomo
sempre
meglio
«si
ritrovi
attraverso
un
dono
sincero
di sé».
Si può
dire
che
in
queste
parole
della
Costituzione
pastorale
del
Concilio
si
riassuma
tutta
l'antropologia
cristiana:
quella
teoria
e
prassi,
fondata
sul
Vangelo,
nella
quale
l'uomo
scoprendo
in se
stesso
l'appartenenza
a
Cristo
e, in
lui,
l'elevazione
a
figlio
di
Dio,
comprende
meglio
anche
la
sua
dignità
di
uomo,
proprio
perché
è il
soggetto
dell'avvicinamento
e
della
presenza
di
Dio,
il
soggetto
della
condiscendenza
divina,
nella
quale
è
contenuta
la
prospettiva
ed
addirittura
la
radice
stessa
della
definitiva
glorificazione.
Allora
si può
veramente
ripetere
che
«gloria
di
Dio
è
l'uomo
vivente,
ma
vita
dell'uomo
è la
visione
di
Dio»:
l'uomo,
vivendo
una
vita
divina,
è la
gloria
di
Dio,
e di
questa
vita
e di
questa
gloria
lo
Spirito
Santo
è il
dispensatore
nascosto.
Egli--dice
il
grande
Basilio
-- «semplice
nell'essenza,
molteplice
nelle
sue
virtù...,
si
diffonde
senza
che
subisca
alcuna
diminuzione,
è
presente
a
ciascuno
di
quanti
sono
capaci
di
riceverlo
come
se
fosse
lui
solo,
ed in
tutti
infonde
la
grazia
sufficiente
e
completa».
60.
Quando,
sotto
l'influsso
del
Paraclito,
gli
uomini
scoprono
questa
dimensione
divina
del
loro
essere
e
della
loro
vita,
sia
come
persone
che
come
comunità,
essi
sono
in
grado
di
liberarsi
dai
diversi
determinismi
derivati
principalmente
dalle
basi
materialistiche
del
pensiero,
della
prassi
e
della
sua
relativa
metodologia.
Nella
nostra
epoca
questi
fattori
sono
riusciti
a
penetrare
fin
nell'intimo
dell'uomo,
in
quel
santuario
della
coscienza
dove
lo
Spirito
Santo
immette
di
continuo
la
luce
e la
forza
della
vita
nuova
secondo
la «libertà
dei
figli
di
Dio».
La
maturazione
dell'uomo
in
questa
vita
è
impedita
dai
condizionamenti
e
dalle
pressioni,
che
su di
lui
esercitano
le
strutture
e i
meccanismi
dominanti
nei
diversi
settori
della
società.
Si può
dire
che
in
molti
casi
i
fattori
sociali,
anziché
favorire
lo
sviluppo
e
l'espansione
dello
spirito
umano,
finiscono
con
lo
strapparlo
alla
genuina
verità
del
suo
essere
e
della
sua
vita--sulla
quale
veglia
lo
Spirito
Santo--per
sottometterlo
al «principe
di
questo
mondo».
Il
grande
Giubileo
del
Duemila
contiene,
pertanto,
un
messaggio
di
liberazione
ad
opera
dello
Spirito,
che
solo
può
aiutare
le
persone
e le
comunità
a
liberarsi
dai
vecchi
e
nuovi
determinismi,
guidandole
con
la «legge
dello
Spirito,
che dà
vita
in
Cristo
Gesù»,
così
scoprendo
e
attuando
la
piena
misura
della
vera
libertà
dell'uomo.
Infatti--come
scrive
san
Paolo--là
«dove
c'è
lo
Spirito
del
Signore,
c'è
libertà».
Tale
rivelazione
della
libertà
e,
dunque,
della
vera
dignità
dell'uomo
acquista
una
particolare
eloquenza
per i
cristiani
e per
la
Chiesa
in
stato
di
persecuzione--sia
nei
tempi
antichi,
sia
in
quello
presente:
perché
i
testimoni
della
Verità
divina
diventano
allora
una
vivente
verifica
dell'azione
dello
Spirito
di
verità,
presente
nel
cuore
e
nella
coscienza
dei
fedeli,
e non
di
rado
segnano
col
loro
martirio
la
suprema
glorificazione
della
dignità
umana.
Anche
nelle
comuni
condizioni
della
società
i
cristiani,
come
testimoni
dell'autentica
dignità
dell'uomo,
per
la
loro
obbedienza
allo
Spirito
Santo,
contribuiscono
al
molteplice
«rinnovamento
della
faccia
della
terra»,
collaborando
con i
loro
fratelli
per
realizzare
e
valorizzare
tutto
ciò
che
nell'odierno
progresso
della
civiltà,
della
cultura,
della
scienza,
della
tecnica
e
degli
altri
settori
del
pensiero
e
dell'attività
umana,
è
buono,
nobile
e
bello.
Ciò
fanno
come
discepoli
di
Cristo,
che--come
scrive
il
Concilio--«con
la
sua
risurrezione
costituito
Signore,...
opera
nel
cuore
degli
uomini
con
la
virtù
del
suo
Spirito,
non
solo
suscitando
il
desiderio
del
mondo
futuro,
ma
per
ciò
stesso
anche
ispirando,
purificando
e
fortificando
quei
generosi
propositi,
con i
quali
la
famiglia
degli
uomini
cerca
di
rendere
più
umana
la
propria
vita
e di
sottomettere
a
questo
fine
tutta
la
terra».
Così
essi
affermano
ancor
più
la
grandezza
dell'uomo,
fatto
a
immagine
e
somiglianza
di
Dio,
grandezza
che
s'illumina
al
mistero
dell'incarnazione
del
Figlio
di
Dio,
il
quale
«nella
pienezza
del
tempo»,
per
opera
dello
Spirito
Santo,
è
entrato
nella
storia
e si
è
manifestato
vero
uomo,
lui
generato
prima
di
ogni
creatura,
«in
virtù
del
quale
esistono
tutte
le
cose
e noi
esistiamo
per
lui».
5.
La
Chiesa
sacramento
dell'intima
unione
con
Dio
61.
Avvicinandosi
la
conclusione
del
secondo
Millennio,
che
deve
ricordare
a
tutti
e
quasi
render
di
nuovo
presente
l'avvento
del
Verbo
nella
«pienezza
del
tempo»
la
Chiesa
ancora
una
volta
intende
penetrare
nell'essenza
stessa
della
sua
costituzione
divino-umana
e di
quella
missione,
che
la fa
partecipare
alla
missione
messianica
di
Cristo,
secondo
l'insegnamento
e il
progetto
sempre
valido
del
Concilio
Vaticano
II.
Seguendo
questa
linea,
possiamo
risalire
al
Cenacolo,
dove
Gesù
Cristo
rivela
lo
Spirito
Santo
come
Paraclito,
come
Spirito
di
verità,
e
parla
della
propria
«dipartita»
mediante
la
Croce
quale
condizione
necessaria
della
sua
«venuta»:
«È
bene
per
voi
che
io me
ne
vada,
perché,
se
non
me ne
vado,
non
verrà
a voi
il
consolatore;
ma,
quando
me ne
sarò
andato,
ve lo
manderò».
Abbiamo
visto
che
questo
annuncio
ha
avuto
la
prima
realizzazione
già
la
sera
del
giorno
di
Pasqua
e poi
durante
la
celebrazione
gerosolimitana
della
Pentecoste,
e che
da
allora
esso
si
verifica
nella
storia
dell'umanità
mediante
la
Chiesa.
Alla
luce
di
quell'annuncio
prende
pieno
significato
anche
ciò
che
Gesù,
sempre
durante
l'Ultima
Cena,
dice
a
proposito
della
sua
nuova
«venuta».
È,
infatti,
significativo
che
nello
stesso
discorso
di
addio
egli
annunci
non
solo
la
sua
«dipartita»,
ma
anche
la
sua
nuova
«venuta».
Dice
appunto:
«Non
vi
lascerò
orfani,
ritornerò
da
voi».
E nel
momento
del
definitivo
congedo,
prima
di
salire
al
Cielo,
ripeterà
ancora
più
esplicitamente:
«Ecco
io
sono
con
voi»,
lo
sono
«tutti
i
giorni,
fino
alla
fine
dei
mondo».
Questa
nuova
«venuta»
di
Cristo,
questo
suo
continuo
venire
per
essere
con
gli
apostoli,
con
la
Chiesa,
questo
suo
«sono
con
voi
fino
alla
fine
del
mondo»,
non
cambia
certo
il
fatto
della
sua
«dipartita».
Segue
ad
essa
dopo
la
conclusione
dell'attività
messianica
di
Cristo
sulla
terra,
ed
avviene
nell'ambito
del
preannunciato
invio
dello
Spirito
Santo
e,
per
così
dire,
s'inscrive
all'interno
della
sua
stessa
missione.
E
tuttavia
si
compie
per
opera
dello
Spirito
Santo,
il
quale
fa sì
che
il
Cristo,
che
è
andato
via,
venga
ora e
sempre
in
modo
nuovo.
Questo
nuovo
venire
di
Cristo
per
opera
dello
Spirito
Santo
e la
sua
costante
presenza
e
azione
nella
vita
spirituale
si
attuano
nella
realtà
sacramentale.
In
essa
il
Cristo,
che
è
andato
via
nella
sua
umanità
visibile,
viene,
è
presente
e
agisce
nella
Chiesa
in
modo
talmente
intimo
da
costituirla
come
suo
corpo.
Come
tale,
la
Chiesa
vive
opera
e
cresce
«fino
alla
fine
del
mondo».
Tutto
ciò
avviene
per
opera
dello
Spirito
Santo.
62.
La più
completa
espressione
sacramentale
della
«dipartita»
di
Cristo
per
mezzo
del
mistero
della
Croce
e
della
Risurrezione
è
l'Eucaristia.
In
essa
si
realizza
ogni
volta
sacramentalmente
la
sua
venuta,
la
sua
presenza
salvifica:
nel
sacrificio
e
nella
comunione.
Si
realizza
per
opera
dello
Spirito
Santo,
all'interno
della
sua
propria
missione.
Mediante
l'Eucaristia
lo
Spirito
Santo
realizza
quel
«rafforzamento
dell'uomo
interiore»,
di
cui
parla
la
Lettera
agli
Efesini.
Mediante
l'Eucaristia
le
persone
e le
comunità,
sotto
l'azione
del
Paraclito
consolatore,
imparano
a
scoprire
il
senso
divino
della
vita
umana,
richiamato
dal
Concilio:
quel
senso,
per
cui
Gesù
Cristo
«svela
pienamente
l'uomo
all'uomo»,
suggerendo
«una
certa
similitudine
tra
l'unione
delle
Persone
divine
e
l'unione
dei
figli
di
Dio
nella
verità
e
nella
carità».
Una
tale
unione
si
esprime
e si
realizza
specialmente
mediante
l'Eucaristia,
nella
quale
l'uomo,
partecipando
al
sacrificio
di
Cristo,
che
tale
celebrazione
attualizza,
impara
anche
a «ritrovarsi...
attraverso
un
dono...
di sé»,
nella
comunione
con
Dio e
con
gli
altri
uomini,
suoi
fratelli.
Per
questo
i
primi
cristiani,
sin
dai
giorni
successivi
alla
discesa
dello
Spirito
Santo,
«erano
assidui
nella
frazione
del
pane
e
nelle
preghiere»,
formando
in
questo
modo
una
comunità
unita
all'insegnamento
degli
apostoli.
Così
essi
«riconoscevano»
che
il
loro
Signore,
risorto
e già
asceso
al
cielo,
nuovamente
veniva
in
mezzo
a
loro,
nella
comunità
eucaristica
della
Chiesa
e per
suo
mezzo.
Guidata
dallo
Spirito
Santo,
la
Chiesa
sin
dall'inizio
espresse
e
confermò
se
stessa
mediante
l'Eucaristia.
E così
è
stato
sempre,
in
tutte
le
generazioni
cristiane,
fino
ai
nostri
tempi,
fino
a
questa
vigilia
del
compimento
del
secondo
Millennio
cristiano.
Certo,
dobbiamo,
purtroppo,
constatare
che
questo
Millennio,
ormai
trascorso,
è
stato
quello
delle
grandi
separazioni
tra i
cristiani.
Tutti
i
credenti
in
Cristo,
dunque,
sull'esempio
degli
apostoli,
dovranno
mettere
ogni
impegno
nel
conformare
pensiero
e
azione
alla
volontà
dello
Spirito
Santo,
«principio
di
unità
della
Chiesa»,
affinché
tutti
i
battezzati
in un
solo
Spirito
per
costituire
un
solo
corpo,
si
ritrovino
fratelli
uniti
nella
celebrazione
della
medesima
Eucaristia,
«sacramento
di
pietà,
segno
di
unità,
vincolo
di
carità!».
63.
La
presenza
eucaristica
di
Cristo
--il
suo
sacramentale
«sono
con
voi»--
permette
alla
Chiesa
di
scoprire
sempre
più
profondamente
il
proprio
mistero,
come
attesta
tutta
l'ecclesiologia
del
Concilio
Vaticano
II,
per
il
quale
«la
Chiesa
è in
Cristo
come
un
sacramento,
o
segno
e
strumento
dell'intima
unione
con
Dio e
dell'unità
di
tutto
il
genere
umano».
Come
sacramento,
la
Chiesa
si
sviluppa
dal
mistero
pasquale
della
«dipartita»
di
Cristo,
vivendo
della
sua
sempre
nuova
«venuta»
per
opera
dello
Spirito
Santo,
all'interno
della
stessa
missione
del
Paraclito-Spirito
di
verità.
Proprio
questo
è il
mistero
essenziale
della
Chiesa,
come
professa
il
Concilio.
Se in
forza
della
creazione
Dio
è
colui
nel
quale
noi
tutti
«viviamo,
ci
muoviamo
ed
esistiamo»,
a sua
volta
la
potenza
della
redenzione
perdura
e si
sviluppa
nella
storia
dell'uomo
e del
mondo
come
in un
duplice
«ritmo»,
la
cui
fonte
si
trova
nell'eterno
Padre.
È il
ritmo,
da un
lato,
della
missione
del
Figlio,
che
è
venuto
nel
mondo,
nascendo
da
Maria
Vergine
per
opera
dello
Spirito
Santo;
e,
dall'altro,
è
anche
il
ritmo
della
missione
dello
Spirito
Santo,
quale
è
stato
rivelato
definitivamente
da
Cristo.
Per
la «dipartita»
del
Figlio,
lo
Spirito
è
venuto
e
viene
continuamente
come
consolatore
e
Spirito
di
verità.
E
nell'ambito
della
sua
missione,
quasi
nell'intimo
dell'invisibile
presenza
dello
Spirito,
il
Figlio,
che
«era
andato
via»
nel
mistero
pasquale,
«viene»
ed è
continuamente
presente
nel
mistero
della
Chiesa,
ed
ora
si
cela,
ora
si
manifesta
nella
sua
storia,
sempre
conducendone
il
corso.
Tutto
ciò
avviene
in
modo
sacramentale
per
opera
dello
Spirito
Santo,
il
quale,
attingendo
alle
ricchezze
della
redenzione
di
Cristo,
continuamente
dà
la
vita.
Nel
prendere
sempre
più
viva
coscienza
di
questo
mistero,
la
Chiesa
vede
meglio
se
stessa
soprattutto
come
sacramento.
Ciò
avviene
anche
perché,
per
volere
del
suo
Signore,
mediante
i
vari
Sacramenti
la
Chiesa
compie
il
suo
ministero
salvifico
nei
riguardi
dell'uomo.
Il
ministero
sacramentale,
ogni
volta
che
si
attua,
porta
con sé
il
mistero
della
«dipartita»
di
Cristo
mediante
la
Croce
e la
Risurrezione,
in
forza
della
quale
viene
lo
Spirito
Santo.
Viene
e
opera:
«dà
la
vita».
I
Sacramenti,
infatti,
significano
la
grazia
e
conferiscono
la
grazia:
esprimono
la
vita
e
danno
la
vita.
La
Chiesa
è la
dispensatrice
visibile
dei
sacri
segni,
mentre
lo
Spirito
Santo
vi
agisce
come
il
dispensatore
invisibile
della
vita
che
essi
significano.
Insieme
con
lo
Spirito
c'è
ed
agisce
Cristo
Gesù.
64.
Se la
Chiesa
è il
sacramento
dell'intima
unione
con
Dio,
tale
è in
Gesù
Cristo,
in
cui
questa
stessa
unione
si
attua
come
realtà
salvifca.
Tale
è in
Gesù
Cristo
per
opera
dello
Spirito
Santo.
La
pienezza
della
realtà
salvifica,
che
è il
Cristo
nella
storia,
si
diffonde
in
modo
sacramentale
nella
potenza
dello
Spirito
Paraclito.
In
questo
modo
lo
Spirito
Santo
è l'«altro
consolatore»,
o
nuovo
consolatore,
perché
mediante
la
sua
azione
la
Buona
Novella
prende
corpo
nelle
coscienze
e nei
cuori
umani
e si
espande
nella
storia.
In
tutto
ciò
è lo
Spirito
Santo
che dà
la
vita.
Quando
usiamo
la
parola
«sacramento»
in
riferimento
alla
Chiesa,
dobbiamo
tener
presente
che
nel
testo
conciliare
la
sacramentalità
della
Chiesa
appare
distinta
da
quella
che
è
propria,
in
senso
stretto,
dei
Sacramenti.
Leggiamo
infatti:
«La
Chiesa
è...
come
un
sacramento,
o
segno
e
strumento
dell'intima
unione
con
Dio».
Ma ciò
che
conta
ed
emerge
dal
senso
analogico
con
cui
la
parola
è
impiegata
nei
due
casi,
è il
rapporto
che
la
Chiesa
ha
con
la
potenza
dello
Spirito
Santo,
colui
che
solo
dà
la
vita:
la
Chiesa
è
segno
e
strumento
della
presenza
e
dell'azione
dello
Spirito
vivificante.
Il
Vaticano
II
aggiunge
che
la
Chiesa
è «un
sacramento...
dell'unità
di
tutto
il
genere
umano».
Si
tratta
evidentemente
dell'unità
che
il
genere
umano,
in se
stesso
variamente
differenziato,
ha da
Dio e
in
Dio.
Essa
si
radica
nel
mistero
della
creazione
ed
acquista
una
dimensione
nuova
nel
mistero
della
redenzione,
in
ordine
all'universale
salvezza.
Poiché
Dio
«vuole
che
tutti
gli
uomini
siano
salvati
e
giungano
alla
conoscenza
della
verità»,
la
redenzione
comprende
tutti
gli
uomini
e, in
certo
modo,
tutta
la
creazione.
Nella
stessa
universale
dimensione
della
redenzione
agisce,
in
forza
della
«dipartita»
di
Cristo,
lo
Spirito
Santo.
Perciò
la
Chiesa,
radicata
mediante
il
suo
proprio
mistero
nell'economia
trinitaria
della
salvezza,
a
buon
diritto
intende
se
stessa
come
«sacramento
dell'unità
di
tutto
il
genere
umano».
Essa
sa di
esserlo
per
la
potenza
dello
Spirito
Santo,
della
quale
è
segno
e
strumento
nell'attuazione
del
piano
salvifico
di
Dio.
In
questo
modo
si
realizza
la «condiscendenza»
dell'infinito
amore
trinitario:
l'avvicinarsi
di
Dio,
Spirito
invisibile,
al
mondo
visibile.
Dio
uno e
trino
si
comunica
all'uomo
nello
Spirito
Santo
sin
dall'inizio
mediante
la
sua
«immagine
e
somiglianza».
Sotto
l'azione
dello
stesso
Spirito
l'uomo
e,
per
suo
mezzo,
il
mondo
creato,
redento
da
Cristo,
si
avvicinano
ai
loro
definitivi
destini
in
Dio.
Di
questo
avvicinamento
dei
due
poli
della
creazione
e
della
redenzione,
Dio e
l'uomo,
la
Chiesa
è «un
sacramento,
cioè
segno
e
strumento».
Essa
opera
per
ristabilire
e
rafforzare
l'unità
alle
radici
stesse
del
genere
umano:
nel
rapporto
di
comunione
che
l'uomo
ha
con
Dio
come
suo
Creatore,
Signore
e
Redentore.
E una
verità
che,
in
base
all'insegnamento
del
Concilio,
possiamo
meditare,
spiegare
e
applicare
in
tutta
l'ampiezza
del
suo
significato
in
questa
fase
di
passaggio
dal
secondo
al
terzo
Millennio
cristiano.
E ci
è
caro
prendere
una
coscienza
sempre
più
viva
del
fatto
che
dentro
l'azione
svolta
dalla
Chiesa
nella
storia
della
salvezza,
inscritta
nella
storia
dell'umanità,
è
presente
e
operante
lo
Spirito
Santo,
colui
che
col
soffio
della
vita
divina
pervade
il
pellegrinaggio
terreno
dell'uomo
e fa
confluire
tutta
la
creazione--tutta
la
storia--al
suo
termine
ultimo,
nell'oceano
infinito
di
Dio.
6.
Lo
Spirito
e la
Sposa
dicono:
«Vieni!»
65.
Il
soffio
della
vita
divina,
lo
Spirito
Santo,
nella
sua
maniera
più
semplice
e
comune,
si
esprime
e si
fa
sentire
nella
preghiera.
È
bello
e
salutare
pensare
che,
dovunque
si
prega
nel
mondo,
ivi
è lo
Spirito
Santo,
soffio
vitale
della
preghiera.
È
bello
e
salutare
riconoscere
che,
se la
preghiera
è
diffusa
in
tutto
l'orbe,
nel
passato,
nel
presente
e nel
futuro,
altrettanto
estesa
è la
presenza
e
l'azione
dello
Spirito
Santo,
che
«alita»
la
preghiera
nel
cuore
dell'uomo
in
tutta
la
gamma
smisurata
delle
situazioni
più
diverse
e
delle
condizioni
ora
favorevoli,
ora
avverse
alla
vita
spirituale
e
religiosa.
Molte
volte,
sotto
l'azione
dello
Spirito,
la
preghiera
sale
dal
cuore
dell'uomo
nonostante
i
divieti
e le
persecuzioni,
e
persino
le
proclamazioni
ufficiali
circa
il
carattere
areligioso,
o
addirittura
ateo
della
vita
pubblica.
La
preghiera
rimane
sempre
la
voce
di
tutti
coloro
che
apparentemente
non
hanno
voce--e
in
questa
voce
risuona
sempre
quel
«forte
grido»,
attribuito
a
Cristo
dalla
Lettera
agli
Ebrei.
La
preghiera
è
anche
la
rivelazione
di
quell'abisso,
che
è il
cuore
dell'uomo:
una
profondità,
che
è da
Dio e
che
solo
Dio
può
colmare,
proprio
con
lo
Spirito
Santo.
Leggiamo
in
Luca:
«Se
dunque
voi,
che
siete
cattivi,
sapete
dare
cose
buone
ai
vostri
figli,
quanto
più
il
Padre
vostro
celeste
darà
lo
Spirito
Santo
a
coloro
che
glielo
chiedono!
».
Lo
Spirito
Santo
è il
dono,
che
viene
nel
cuore
dell'uomo
insieme
con
la
preghiera.
In
questa
egli
si
manifesta
prima
di
tutto
e
soprattutto
come
il
dono,
che
«viene
in
aiuto
alla
nostra
debolezza».
È il
magnifico
pensiero
sviluppato
da
san
Paolo
nella
Lettera
ai
Romani
quando
scrive:
«Noi
nemmeno
sappiamo
che
cosa
sia
conveniente
domandare,
ma lo
Spirito
stesso
intercede
con
insistenza
per
noi,
con
gemiti
inesprimibili».
Dunque,
lo
Spirito
Santo
non
solo
fa sì
che
preghiamo,
ma ci
guida
«dall'interno»
nella
preghiera,
supplendo
alla
nostra
insufficienza,
rimediando
alla
nostra
incapacità
di
pregare:
egli
è
presente
nella
nostra
preghiera
e le
dà
una
dimensione
divina.
Così
«colui
che
scruta
i
cuori
sa
quali
sono
i
desideri
dello
Spirito,
poiché
egli
intercede
per i
credenti
secondo
i
disegni
di
Dio».
La
preghiera
per
opera
dello
Spirito
Santo
diventa
l'espressione
sempre
più
matura
dell'uomo
nuovo,
che
per
mezzo
di
essa
partecipa
alla
vita
divina.
La
nostra
difficile
epoca
ha
uno
speciale
bisogno
della
preghiera.
Se
nel
corso
della
storia--ieri
come
oggi--
numerosi
uomini
e
donne
hanno
dato
testimonianza
dell'importanza
della
preghiera,
consacrandosi
alla
lode
di
Dio e
alla
vita
di
orazione
soprattutto
nei
monasteri
con
grande
vantaggio
per
la
Chiesa,
in
questi
anni
va
pure
crescendo
il
numero
delle
persone
che,
in
movimenti
e
gruppi
sempre
più
estesi,
mettono
al
primo
posto
la
preghiera
ed in
essa
cercano
il
rinnovamento
della
vita
spirituale.
È
questo
un
sintomo
significativo
e
consolante,
giacché
da
tale
esperienza
è
derivato
un
reale
contributo
alla
ripresa
della
preghiera
tra i
fedeli,
che
sono
stati
aiutati
a
meglio
considerare
lo
Spirito
Santo
come
colui
che
suscita
nei
cuori
un
profondo
anelito
alla
santità.
In
molti
individui
e in
molte
comunità
matura
la
consapevolezza
che,
pur
con
tutto
il
vertiginoso
progresso
della
civiltà
tecnico-scientifica,
nonostante
le
reali
conquiste
e le
mète
raggiunte,
l'uomo
è
minacciato,
l'umanità
è
minacciata.
Dinanzi
a
questo
pericolo,
e
anzi
sperimentando
già
la
paurosa
realtà
della
decadenza
spirituale
dell'uomo,
persone
singole
e
intere
comunità,
quasi
guidate
da un
senso
interiore
della
fede,
cercano
la
forza
capace
di
risollevare
l'uomo,
di
salvarlo
da se
stesso,
dai
propri
sbagli
e
abbagli,
che
spesso
rendono
nocive
le
sue
stesse
conquiste.
E così
scoprono
la
preghiera,
nella
quale
si
manifesta
lo «Spirito
che
viene
in
aiuto
alla
nostra
debolezza».
In
questo
modo
i
tempi,
in
cui
viviamo,
avvicinano
allo
Spirito
Santo
molte
persone,
che
ritornano
alla
preghiera.
Ed io
confido
che
tutte
trovino
nell'insegnamento
di
questa
Enciclica
un
nutrimento
per
la
loro
vita
interiore
e
riescano
ad
irrobustire,
sotto
l'azione
dello
Spirito,
il
loro
impegno
di
preghiera
in
consonanza
con
la
Chiesa
e col
suo
Magistero.
66.
In
mezzo
ai
problemi,
alle
delusioni
e
alle
speranze,
alle
diserzioni
e ai
ritorni
di
questi
tempi,
la
Chiesa
rimane
fedele
al
mistero
della
sua
nascita.
Se è
un
fatto
storico
che
la
Chiesa
è
uscita
dal
Cenacolo
il
giorno
di
Pentecoste,
in un
certo
senso
si può
dire
che
non
lo ha
mai
lasciato.
Spiritualmente
l'evento
della
Pentecoste
non
appartiene
solo
al
passato:
la
Chiesa
è
sempre
nel
Cenacolo,
che
porta
nel
cuore.
La
Chiesa
persevera
nella
preghiera,
come
gli
apostoli
insieme
a
Maria,
Madre
di
Cristo,
ed a
coloro
che
in
Gerusalemme
costituivano
il
primo
germe
della
comunità
cristiana
e
attendevano,
pregando,
la
venuta
dello
Spirito
Santo.
La
Chiesa
persevera
nella
preghiera
con
Maria.
Questa
unione
della
Chiesa
orante
con
la
Madre
di
Cristo
fa
parte
del
mistero
della
Chiesa
fin
dall'inizio:
noi
la ve
diamo
presente
in
questo
mistero,
come
è
presente
in
quello
di
suo
Figlio.
Ce lo
dice
il
Concilio:
«La
Beata
Vergine...,
adombrata
dallo
Spirito
Santo,
...
diede
alla
luce
il
Figlio,
che
Dio
ha
posto
quale
primogenito
tra
molti
fratelli
(Rm8,29),
cioè
tra i
fedeli,
alla
cui
rigenerazione
e
formazione
essa
coopera
con
materno
amore».
ella
è «per
le
sue
singolari
grazie
e
funzioni...
intimamente
congiunta
con
la
Chiesa:
è
figura
della
Chiesa».
«La
Chiesa,
contemplando
l'arcana
santità
di
lei
ed
imitandone
la
carità,
diventa
anch'essa
madre»
e «ad
imitazione
della
Madre
del
suo
Signore,
con
la
virtù
dello
Spirito
Santo,
conserva
verginalmente
integra
la
fede,
salda
la
speranza,
sincera
la
carità:
essa
pure
(cioè
la
Chiesa)
è
vergine,
che
custodisce...
la
fede
data
allo
Sposo».
Si
capisce
così
il
senso
profondo
del
motivo,
per
cui
la
Chiesa,
unita
con
la
Vergine
Madre,
si
rivolge
ininterrottamente
quale
Sposa
al
suo
divino
Sposo,
come
attestano
le
parole
dell'Apocalisse,
riportate
dal
Concilio:
«Lo
Spirito
e la
Sposa
dicono
al
Signore
Gesù:
"Vieni!"».
La
preghiera
della
Chiesa
è
questa
invocazione
incessante,
nella
quale
«lo
Spirito
stesso
intercede
per
noi»:
in
certo
modo,
egli
stesso
la
pronuncia
con
la
Chiesa
e
nella
Chiesa.
Lo
Spirito,
infatti,
è
dato
alla
Chiesa,
affinché
per
la
sua
potenza
tutta
la
comunità
del
Popolo
di
Dio,
per
quanto
largamente
ramificata
e
varia,
perseveri
nella
speranza:
in
quella
speranza,
nella
quale
«siamo
stati
salvati».
È la
speranza
escatologica,
la
speranza
del
definitivo
compimento
in
Dio,
la
speranza
del
Regno
eterno,
che
si
attua
nella
partecipazione
alla
vita
trinitaria.
Lo
Spirito
Santo,
dato
agli
apostoli
come
consolatore,
è il
custode
e
l'animatore
di
questa
speranza
nel
cuore
della
Chiesa.
Nella
prospettiva
del
terzo
Millennio
dopo
Cristo,
mentre
«lo
Spirito
e la
Sposa
dicono
al
Signore
Gesù:
"Vieni!"»,
questa
loro
preghiera
è
carica,
come
sempre,
di
una
portata
escatologica,
destinata
a
dare
pienezza
di
significato
anche
alla
celebrazione
del
grande
Giubileo.
E una
preghiera
rivolta
in
direzione
dei
destini
salvifici,
verso
i
quali
lo
Spirito
Santo
apre
i
cuori
con
la
sua
azione
attraverso
tutta
la
storia
dell'uomo
sulla
terra.
Nello
stesso
tempo,
però,
questa
preghiera
si
orienta
verso
un
preciso
momento
della
storia,
in
cui
è
messa
in
rilievo
la «pienezza
del
tempo»,
scandita
dall'anno
Duemila.
A
questo
Giubileo
la
Chiesa
desidera
prepararsi
nello
Spirito
Santo,
come
dallo
Spirito
Santo
fu
preparata
la
Vergine
di
Nazareth,
nella
quale
il
Verbo
si
fece
carne.
CONCLUSIONE
67.
Vogliamo
concludere
queste
considerazioni
nel
cuore
della
Chiesa
e nel
cuore
dell'uomo.
La
via
della
Chiesa
passa
attraverso
il
cuore
dell'uomo,
perché
è
qui
il
luogo
recondito
dell'incontro
salvifico
con
lo
Spirito
Santo,
col
Dio
nascosto,
e
proprio
qui
lo
Spirito
Santo
diventa
«sorgente
di
acqua,
che
zampilla
per
la
vita
eterna».
Qui
egli
giunge
come
Spirito
di
verità
e
come
Paraclito,
quale
è
stato
promesso
da
Cristo.
Di
qui
egli
agisce
come
consolatore,
intercessore,
avvocato--specialmente
quando
l'uomo,
o
l'umanità,
si
trova
davanti
al
giudizio
di
condanna
di
quell'«accusatore»,
del
quale
l'Apocalisse
dice
che
«accusa
i
nostri
fratelli
davanti
al
nostro
Dio
giorno
e
notte».
Lo
Spirito
Santo
non
cessa
di
essere
il
custode
della
speranza
nel
cuore
dell'uomo:
della
speranza
di
tutte
le
creature
umane
e,
specialmente,
di
quelle
che
«possiedono
le
primizie
dello
Spirito»
ed «aspettano
la
redenzione
del
loro
corpo».
Lo
Spirito
Santo,
nel
suo
misterioso
legame
di
divina
comunione
col
Redentore
dell'uomo,
è il
realizzatore
della
continuità
della
sua
opera:
egli
prende
da
Cristo
e
trasmette
a
tutti,
entrando
incessantemente
nella
storia
del
mondo
attraverso
il
cuore
dell'uomo.
Qui
egli
diventa
--come
proclama
la
Sequenza
liturgica
della
solennità
di
Pentecoste--
vero
«padre
dei
poveri,
datore
dei
doni
luce
dei
cuori»;
diventa
«dolce
ospite
dell'anima»,
che
la
Chiesa
saluta
incessantemente
sulla
soglia
dell'intimità
di
ogni
uomo.
Egli,
infatti,
porta
«riposo
e
riparo»
in
mezzo
alle
fatiche,
al
lavoro
delle
braccia
e
delle
menti
umane;
porta
«riposo»
e «sollievo»
in
mezzo
alla
calura
del
giorno,
in
mezzo
alle
inquietudini,
alle
lotte
e ai
pericoli
di
ogni
epoca;
porta,
infine,
la «consolazione»,
quando
il
cuore
umano
piange
ed è
tentato
dalla
disperazione.
Per
questo,
la
stessa
Sequenza
esclama:
«Senza
la
tua
forza
nulla
è
nell'uomo,
nulla
è
senza
colpa».
Solo
lo
Spirito
Santo,
infatti,
«convince
del
peccato»,
del
male,
allo
scopo
di
instaurare
il
bene
nell'uomo
e nel
mondo
umano:
per
«rinnovare
la
faccia
della
terra».
Perciò,
egli
opera
la
purificazione
da
tutto
ciò
che
«deturpa»
l'uomo,
da «ciò
che
è
sordido»;
cura
le
ferite
anche
più
profonde
dell'umana
esistenza;
cambia
l'interiore
aridità
delle
anime,
trasformandole
in
fertili
campi
di
grazia
e di
santità.
Quello
che
è «rigido
- lo
piega»,
quello
che
è «gelido
- lo
riscalda»,
quello
che
è «sviato
- lo
raddrizza»
lungo
le
vie
della
salvezza.
Pregando
così,
la
Chiesa
incessantemente
professa
la
sua
fede:
c'è
nel
nostro
mondo
creato
uno
Spirito
che
è un
dono
increato.
È
questi
lo
Spirito
del
Padre
e del
Figlio:
come
il
Padre
e il
Figlio,
è
increato,
immenso,
eterno,
onnipotente,
Dio,
Signore.
Questo
Spirito
di
Dio
«riempie
l'universo»,
e
tutto
ciò
che
è
creato
in
lui
riconosce
la
fonte
della
propria
identità,
in
lui
trova
la
propria
trascendente
espressione,
a lui
si
volge
e lo
attende,
lo
invoca
col
suo
stesso
essere.
A
lui,
come
a
Paraclito,
a
Spirito
di
verità
e di
amore,
si
rivolge
l'uomo
che
vive
di
verità
e di
amore
e che
senza
la
fonte
della
verità
e
dell'amore
non
può
vivere.
A lui
si
rivolge
la
Chiesa,
che
è il
cuore
dell'umanità,
per
invocare
per
tutti
ed a
tutti
dispensare
quei
doni
dell'amore,
che
per
mezzo
suo
«è
stato
riversato
nei
nostri
cuori».
A lui
si
rivolge
la
Chiesa
lungo
le
intricate
vie
del
pellegrinaggio
dell'uomo
sulla
terra:
e
chiede,
incessantemente
chiede
la
rettitudine
degli
atti
umani
come
opera
sua;
chiede
la
gioia
e la
consolazione,
che
solo
lui,
il
vero
consolatore,
può
portare
scendendo
nell'intimo
dei
cuori
umani;
chiede
la
grazia
delle
virtù,
che
meritano
la
gloria
celeste;
chiede
la
salvezza
eterna,
nella
piena
comunicazione
della
vita
divina,
a cui
il
Padre
ha
eternamente
«predestinato»
gli
uomini,
creati
per
amore
ad
immagine
e
somiglianza
della
Santissima
Trinità.
La
Chiesa
col
suo
cuore,
che
in sé
comprende
tutti
i
cuori
umani,
chiede
allo
Spirito
Santo
la
felicità,
che
solo
in
Dio
ha la
sua
completa
attuazione:
la
gioia
«che
nessuno
potrà
togliere»,
la
gioia
che
è
frutto
dell'amore
e,
dunque,
di
Dio
che
è
amore;
chiede
«la
giustizia,
la
pace
e la
gioia
nello
Spirito
Santo»,
in
cui,
secondo
san
Paolo,
consiste
il
Regno
di
Dio.
Anche
la
pace
è
frutto
dell'amore:
quella
pace
interiore,
che
l'uomo
affaticato
cerca
nell'intimo
del
suo
essere.
quella
pace
chiesta
dall'umanità,
dalla
famiglia
umana
dai
popoli,
dalle
nazioni,
dai
continenti,
con
una
trepida
speranza
di
ottenerla
nella
prospettiva
del
passaggio
dal
secondo
al
terzo
Millennio
cristiano.
Poiché
la
via
della
pace
passa
in
definitiva
attraverso
l'amore
e
tende
a
creare
la
civiltà
dell'amore,
la
Chiesa
fissa
lo
sguardo
in
colui
che
è
l'amore
del
Padre
e del
Figlio
e,
nonostante
le
crescenti
minacce,
non
cessa
di
aver
fiducia,
non
cessa
di
invocare
e di
servire
la
pace
dell'uomo
sulla
terra.
La
sua
fiducia
si
fonda
su
colui
che,
essendo
lo
Spirito-amore,
è
anche
lo
Spirito
della
pace
e non
cessa
di
esser
presente
nel
nostro
mondo
umano,
sull'orizzonte
delle
coscienze
e dei
cuori,
per
«riempire
l'universo»
di
amore
e di
pace.
Davanti
a lui
io
m'inginocchio
al
termine
di
queste
considerazioni,
implorando
che,
come
Spirito
del
Padre
e del
Figlio,
egli
conceda
a noi
tutti
la
benedizione
e la
grazia,
che
desidero
trasmettere,
nel
nome
della
Santissima
Trinità,
ai
figli
e
alle
figlie
della
Chiesa
ed
all'intera
famiglia
umana.
Dato
a
Roma,
presso
San
Pietro,
il 18
maggio,
Solennità
di
Pentecoste,
dell'anno
1986,
ottavo
del
mio
Pontificato.
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