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“Rendete
a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”: è il
primo pronunciamento politico di Gesù. L’altro lo dirà più avanti a Ponzio
Pilato. Gesù, con questo pronunciamento riconosce l’autorità politica e dice
che a questa autorità bisogna obbedire: bisogna dare a Cesare quello che è di
Cesare.
Ogni autorità
viene da Dio, a prescindere che questa autorità venga esercitata da Ciro o da
Cesare: Ciro e Cesare sono ministri di Dio e chi obbedisse a Cesare o obbedisse
a Ciro obbedirebbe a Dio.
E deve essere
dato a Cesare quello che è di Cesare, perché la moneta porta l’immagine di
Cesare, l’iscrizione di Cesare. Ma c’è un altro momento e siamo noi, noi
che portiamo l’iscrizione di Dio, la firma di Dio, l’immagine di Dio. E’
su questo punto che noi fermiamo la nostra attenzione: sull’autorità. Anche
nei nostri gruppi c’è l’autorità rappresentata, nei gruppi del
Rinnovamento, dal Pastorale: siete voi, pastori, che nel gruppo del Rinnovamento
esercitate collegialmente questa autorità. E’ un’autorità di servizio, è
un’autorità di amore, ma è sempre un’autorità che comporta
delle responsabilità, che
comporta ben cinque responsabilità.
Quindi noi abbiamo cinque forme di fedeltà corrispondenti alle cinque
responsabilità: la
prima è la fedeltà a Dio, perché noi Pastori siamo responsabili
verso colui che ci ha dato questa autorità. Le pecore che portano l’immagine
di Dio sono di Dio, sono in mano nostra e noi dobbiamo risponderne a Dio.
Ricordatevi
delle parole di Paolo dette agli anziani di Efeso, negli Atti agli Apostoli al
cap. 20: “Vegliate su voi stessi e su
tutto il gregge”; ricordatevi delle parole di Pietro nella sua Prima
Lettera al cap. 5, ver. 2: “Pascete il
gregge che vi è stato affidato da Dio”. Dunque il gregge è di Dio.
Diceva Gesù: “Il Padre mi ha affidato
le pecore, e quelle che il Padre mi ha affidato io le tengo e nessuna di essa
andrà in perdizione”. Che non si dimentichi in noi quanto dice Geremia al
cap. 23: “Radunerò io stesso il resto
delle mie pecore da tutte le regioni dove le ho lasciate scacciare e le farò
tornare ai loro pascoli; saranno feconde e si moltiplicheranno. Costituirò
sopra di esse pastori che le faranno pascolare, così che non dovranno più
temere né sgomentarsi; di esse non ne mancherà neppure una”. Che non si
dimentichi in noi quanto detto da Ezechiele al cap. 34: “Guai
ai pastori d’Israele, che pascono se stessi!
I pastori non dovrebbero forse pascere il gregge?”. Che non si
dimentichi in noi quanto detto nel cap. 10 del Vangelo di Giovanni.
Noi siamo i
pastori ad immagine del Pastore Supremo, a cui dovremo rendere conto delle
pecore affidate. Il Padre ci vedrà, dobbiamo affrontare tutte le difficoltà, e
dobbiamo essere pronti a dare la vita come Gesù. Ricordatevi che dobbiamo
rendere conto al Pastore Supremo, come dice Pietro. La responsabilità viene da
Dio: allora fedeltà a Dio, perché le pecorelle portano, come dicevo,
l’immagine di Dio, sono di Dio, non sono nostre e non possiamo mungerne il
latte o coprirci della loro lana. Né possiamo permettere o quantomeno cedere
alle prepotenze dei caproni contro le pecorelle, mentre i deboli soggiacciono
alle prepotenze degli altri. Dobbiamo condurre le pecore ai buoni pascoli della
verità, dobbiamo custodire il gregge dai lupi rapaci, ma soprattutto dobbiamo
amare noi Gesù, le pecorelle nostre e conoscerle una per una.
Questo
è il dovere primo del pastore.
C’è poi una seconda fedeltà: fedeltà al gruppo che ci ha scelti come
pastori: ricordiamoci che siamo stati eletti dal gruppo, e dobbiamo
rispondere al gruppo dell’esercizio del nostro ministero. Se il gruppo,
riunito nello Spirito, ha scelto noi, è stato Dio ad investirci. Quando Dio
sceglie, prende chi vuole.
Dio scelse
Mosè, scelse Davide, scelse Abramo: ma usò Mosè che non sapeva parlare e gli
diede quei doni necessari per guidare alla libertà il suo popolo.
Una volta
costituiti Responsabili, noi dobbiamo essere in grado di esercitare il nostro
ministero nel pastorale in maniera collegiale e dobbiamo rispondere al gruppo
che ci ha scelto. Quante lamentele vengono dai nostri gruppi: “Questo
Pastorale non vale”; “Questo
Pastorale non esercita bene il suo ministero”; e tante altre lamentele. E
chiaro che così come è il Pastorale, lo è anche il gruppo, in quanto il
Pastorale viene dal gruppo, ma è anche il Pastorale che forma il gruppo.
E se vogliamo
un gruppo che cammini nelle vie del Signore, noi del pastorale dobbiamo essere
forma del gregge: come dice Pietro, dobbiamo essere esempio per il gregge.
Il gregge
deve trovare i pastori come la forma a cui conformarsi, come la norma del
vivere. Il pastorale, buon esempio della vita, è una comunità nella comunità:
una comunità certamente non chiusa ma aperta alla grande comunità con cui deve
vivere in comunione profonda, intima, senza altri punti di attrazione che
possono portare qualcuno del Pastorale fuori del Pastorale, pur essendo eletto.
Non ci siano punti di attrazione e distrazione: il Pastorale compatto
diventi forma del gregge.
La
preghiera è la forza del gruppo, l’amore è la forza del gruppo.
Allora
l’appello che io faccio ai miei cari fratelli del Pastorale e di ogni
Pastorale è di essere modelli per il gruppo e di ogni gruppo: dovete rispondere
al gruppo che vi ha scelto; dovete essere fedeli al gruppo, per l’esercizio
ben fatto del vostro ministero.
C’è una terza fedeltà, ed è la fedeltà
alla Chiesa, nostra Madre, dentro cui si muove il Rinnovamento. Sono
i Pastorali che danno il volto del Rinnovamento alla Chiesa. Se i Pastorali
mostrano il volto vero del Rinnovamento, rendono alla Chiesa quel servizio che
essa attende. Oggi la Chiesa ha bisogno del Rinnovamento, perché lo Spirito
Santo non fa nulla a caso: se ha suscitato il Rinnovamento, è perché la Chiesa
in questo momento ne ha bisogno. Tutto è nelle mani dello Spirito, è Lui che
guida la Chiesa. Lo Spirito ha suscitato questa forza, questa corrente di
grazia. Il Pastorale deve rendere questo servizio alla Chiesa nella preghiera,
nell’evangelizzazione, nella difesa della verità, nell’andare incontro ai
lupi rapaci, nel difendere la dottrina cristiana, nell’insegnamento religioso
affinché il Vangelo di Cristo sia radicato nei fedeli che vengono nei nostri
gruppi. Si tratta di essere fedeli alla Chiesa nostra madre, che ci ha
riconosciuto.
Noi dei
Pastorali abbiamo delle responsabilità verso questa Chiesa Madre, nel cui
grembo lavoriamo per volontà di Dio. Dobbiamo essere il fermento della vita,
dobbiamo essere muro di sostegno con la preghiera: la Chiesa questo attende da
noi. La fedeltà alla Chiesa ci impegna ad un servizio attento ai nostri gruppi
perché siano luoghi dove si pratica la vita di Dio nella verità e nella carità,
perché siano luoghi dove venga coltivata la fede e dove si parte per
incrementare la fede e seminare speranza. C’è
una quarta fedeltà. Il Rinnovamento non è soltanto una chance nella vita, come
diceva Paolo VI, ma è “speranza del mondo” come dice l’attuale Pontefice
Giovanni Paolo II. Speranza del mondo: comprendiamo il valore di questa
affermazione in bocca al Papa. Noi siamo la speranza del mondo. Se lo Spirito
Santo ha messo il Rinnovamento in questo mondo dove sono i nostri fratelli, noi
dobbiamo essere speranza per i
nostri fratelli. Noi siamo nel mondo,
non siamo del mondo, ma siamo per il mondo. Il
Padre ha tanto amato il mondo da dare il Suo Figlio e noi dobbiamo amare
il mondo, cioè i nostri fratelli che sono nel mondo, che lottano nel mondo, che
edificano la civiltà terrena; dobbiamo essere presenti nelle strutture del
mondo ed influire nelle strutture del mondo contro gli errori dei regnanti,
contro il male che avanza, contro il nemico che in diverse maniere invade la
terra e vanifica il piano di salvezza.
Dio ha tanto
amato il mondo perché il mondo non si perda ma si salvi: noi pastori dobbiamo
con Cristo salvare il mondo e dobbiamo essere coscienti di questo. Allora i
nostri gruppi devono essere aperti al mondo e le nostre porte devono essere
aperte al mondo con tutte le conseguenze che noi possiamo avere: ritirarsi sì,
ma non chiudere le porte; sentinelle sì, ma sempre sentinelle che lasciano
spazio a chi entra e chi esce. Dobbiamo uscire verso il mondo e portare Cristo,
e portare acqua agli assetati e “pane
ai profughi” come dice Isaia. Ma dobbiamo lasciare aperte le porte a
chiunque chiede e viene a cercare rifugio, approdo nei nostri gruppi, e dare
spazio nei nostri cuori e nei nostri gruppi a tutti i disagiati, i diseredati,
gli emarginati, a tutti quelli che cercano speranza, a tutti quelli che cercano
la verità, a tutti quelli che invocano e cercano Dio. Solo così saremo
speranza per il mondo, come dice il Papa, ma questo dipende dai pastori. I
pastori così devono essere ben disposti verso il mondo, perché il mondo è di
tanti. I nostri Pastorali devono lavorare in tal senso: aprire le porte non
perché entrino i malvagi ma perché entri il popolo che cerca rifugio, e cerca
Dio, e cerca Cristo.
I nostri
Pastorali devono uscire verso il mondo per portare il Vangelo ed evangelizzare
con la Parola e con la carità. C’è
una quinta fedeltà: la fedeltà alle singole anime che ci vengono consegnate.
Badate bene,
non al gruppo nella sua interezza, ma alle singole anime. Fratelli e sorelle,
ogni anima costa il prezzo di Cristo ed è una moneta, una moneta che porta
l’immagine del Signore, l’iscrizione del Signore, è una replica di Cristo.
Cristo è la grande prima realtà creata prima dei tempi, l’unica realtà,
possiamo dire, uscita dal Padre che viene a finalizzarsi nel mondo. Cristo deve
crescere: non siamo noi tanto a crescere in Cristo quanto Cristo che deve
crescere perché questa è la realtà, questi sono i santi misteri di Dio. E
dobbiamo consentire a Cristo di crescere in ogni singola persona del gruppo, in
noi ed in ogni persona, al fine di formare il Regno di Dio, al fine di diventare
l’umanità viva di Cristo.
Sono le
cinque fedeltà che ho voluto così enumerare, le cinque responsabilità che noi
abbiamo: se noi siamo coscienti di queste responsabilità, se noi siamo fedeli
ai nostri impegni, allora i nostri gruppi fioriranno, saranno gruppi benedetti
da Dio, saranno la chance della Chiesa e la speranza del mondo. Fratelli e
sorelle, questo patrimonio immenso che abbiamo nelle nostre mani dobbiamo
gestirlo bene, amarlo e capirlo bene. Siamo noi pastori i responsabili perché
questo trattamento, questo lievito possa rinnovare la Chiesa, Sposa di Cristo e
Madre nostra, perché noi possiamo consentire a Cristo di crescere e raggiungere
la pienezza in cui si ha la vita, in attesa che Cristo, realizzate tutte le
cose, consegni il Regno al Padre. Allora sarà Dio in tutto. Acquisiamo la
coscienza di non essere di noi ma di essere di Cristo e per Cristo: soltanto così,
con questa coscienza di appartenenza a Cristo, noi possiamo gestire bene il
nostro gruppo, il nostro ufficio, il nostro ministero di pastori. Che il Pastore
Supremo ci illumini mediante il suo Spirito, e dandoci la vita nello Spirito ci
faccia camminare su questa strada. Che un giorno tutti possiamo rendere conto
con coscienza a Colui che ci ha chiamato su come abbiamo gestito il nostro
Pastorale.
Signore
Gesù,
Pastore
supremo delle anime nostre,
Signore
Gesù,
questa
sera ci presentiamo a Te,
noi
piccoli pastori che Tu hai scelto,
e
ti chiediamo che il Tuo Spirito scenda dentro di noi e ci modelli
secondo
l’immagine Tua.
Imprimi
il Tuo divino dentro di noi,
sigillo
vivo, perché noi possiamo operare
come
Tu operavi, come Tu operi.
Fa’
che la Tua azione, l’azione dello Spirito
sia
in tutti noi, in modo che noi,
camminando
in Te e con Te,
possiamo
attuare il
piano
del Padre,
il
Regno di Dio sulla terra. AMEN.
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